«Va' a quel paese», disse Lily.
«Non mancherò, stai pure tranquilla», ribatté lui alzandosi. «Per ora, se mi permetti, mi limiterò ad andare nel tuo bagno.» Lily chiuse gli occhi e lo ignorò. «Spero comunque che si tenga lontano dai guai», commentò Sloat, allontanandosi lentamente dal letto. «Succedono cose terribili ai ragazzi che girano per il paese da soli.» Lily continuò a non reagire. «Cose a cui non oso pensare.» Sloat arrivò ai piedi del letto e continuò verso la porta del bagno. Lily era immobile sotto le coperte, come un foglio di velina accartocciato. Sloat entrò in bagno.
Si sfregò le mani, richiuse delicatamente la porta e aprì entrambi i rubinetti del lavandino. Dalla tasca del soprabito cavò un flaconcino marrone da due grammi e dalla tasca interna della giacca sfilò un astuccio di piccole dimensioni che conteneva uno specchio, una lametta da rasoio e una corta cannuccia d'ottone. Versò sullo specchio un ottavo di grammo di purissima cocaina peruviana, la migliore che era riuscito a trovare. La sminuzzò ritualmente con la lametta ordinandola in due consistenti filetti, quindi la sniffò inspirandola attraverso la cannuccia d'ottone, boccheggiò, trasse un brusco respiro e trattenne il fiato per un secondo o due. «Ah.» I condotti nasali gli si aprirono come gallerie. Lassù la dose cominciò a dispensare benessere. Sloat mise le mani sotto l'acqua, poi per dare sollievo al naso si portò alle narici un po' di umidità raccolta fra pollice e indice. Finalmente si asciugò mani e faccia.
Quel bel treno, si concesse di pensare, quello splendido treno, scommetto che sono più fiero del treno che di mio figlio.
Morgan Sloat si abbandonò alla dilettevole visione del suo prezioso treno che era il medesimo in entrambi i mondi, nonché la prima manifestazione concreta del suo annoso progetto di esportare tecnologia moderna nei Territori, arrivando a Point Venuti con il suo utile carico. Point Venuti! Sloat sorrise mentre la coca gli esplodeva nel cervello recandovi il solito messaggio, che tutto sarebbe andato bene, per il meglio. Il piccolo Jack Sawyer avrebbe dovuto essere davvero fortunato per uscire da quella bizzarra cittadina. Anzi, già avrebbe dovuto godere di una straordinaria fortuna per arrivarci, visto che avrebbe dovuto attraversare la Contrada Maledetta. Tuttavia la droga gli rammentò che in un certo senso preferiva che Jack riuscisse a raggiungere Point Venuti, luogo pericoloso e deforme, preferiva che Jack scampasse all'albergo nero, che non era solo assi e chiodi, mattoni e pietre, ma anche qualcos'altro, qualcosa di vivo... perché era possibile che ne uscisse con il Talismano fra le sue manine di ladro. E se questo fosse avvenuto...
Sì, se questa eventualità semplicemente meravigliosa si fosse realizzata, tutto sarebbe andato davvero per il meglio.
E Jack Sawyer e il Talismano sarebbero stati spaccati in due.
E lui, Morgan Sloat, avrebbe finalmente goduto di quello che il suo talento meritava. Per un attimo si vide aprire le braccia su vastità stellate, mondi uniti come amanti in un letto, su tutto quello che il Talismano proteggeva e tutto quello a cui aspirava dai tempi in cui aveva acquistato l'Agincourt, molti anni prima. Tutto questo Jack avrebbe potuto ottenere per lui. Delizie, gloria.
Per celebrare, Sloat tirò nuovamente fuori il suo flaconcino e questa volta non perse tempo con il rito della lametta e dello specchio. Con il cucchiaino che accompagnava lo specchio, si avvicinò la bianca polvere prima a una narice e poi all'altra. Delizia, sissignore.
Rientrò in camera da letto che stava ancora tirando su con il naso. Ora Lily sembrava leggermente più vivace, ma Sloat era così su di giri che nemmeno questa dimostrazione di vitalità poté metterlo di cattivo umore. Gli occhi ora più brillanti di Lily lo seguivano dai crateri delle orbite. «Zio Sloat ha una nuova detestabile abitudine», commentò.
«E tu stai morendo», replicò lui. «Quale sceglieresti?»
«Tira su abbastanza di quella roba e morirai anche tu.»
Imperterrito Sloat tornò alla seggiolina di legno. «Diamine Lily, quand'è che cresci?» l'apostrofò. «Tutti si fanno di coca ormai. Sei tu che sei rimasta indietro. Sono anni ormai che sei tagliata fuori. Vuoi provarne un pizzico?» Si tolse di tasca il flaconcino e lo fece dondolare tenendolo per la catenella del cucchiaino.
«Vattene.»
Sloat le avvicinò il flacone alla faccia.
Lily si drizzò a sedere con la mossa fulminea di un serpente che attacca e gli sputò addosso.
«Strega!» Sloat rinculò con la saliva di Lily che gli scivolava sulla guancia e frugò in tasca a caccia del fazzoletto.
«Se quella schifezza è così buona, perché devi andare a nasconderti al cesso per sniffarla? Non rispondere, vattene e lasciami in pace. Non ti voglio vedere mai più, Sloat. Portati via quella palla di ciccia che hai per culo.»
«Morirai sola, Lily», le pronosticò lui con sadismo, sentendosi ora colmare di gelida gioia. «Morirai sola e questo ridicolo paesello ti darà una sepoltura da accattona e tuo figlio finirà ucciso perché non è umanamente possibile sfuggire a quello che lo aspetta e poi nessuno sentirà più parlare di voi.» Sogghignava gongolando. Le sue mani grasse erano serrate in pugni bianchi e pelosi. «Ricordi Asher Dondorf, Lily? Il nostro cliente? Quello dello sceneggiato Flanagan and Flanagan? Stavo appunto leggendo di lui sull'Hollywood Reporter. Un articolo apparso qualche settimana fa. Si è sparato nel soggiorno di casa sua, ma la sua mira non è stata abbastanza accurata, perché invece di ammazzarsi si è fatto saltare il palato ed è finito in coma. Dicono che può andare avanti così per chissà quanti anni e marcire lentamente.» Si sporse su di lei corrugando la fronte. «Io dico che tu e il buon vecchio Asher avete molto in comune.»
Lei lo fissò con occhi di pietra che le erano come sprofondati dentro il cranio e in quel momento sembrò il ritratto di una coriacea vecchia pioniera con un fucile per scoiattoli in una mano e un testo delle Sacre Scritture nell'altra. «Mio figlio mi salverà la vita», sibilò. «Jack mi salverà la vita e tu non potrai fermarlo.»
«Be', be', vedremo», rispose Sloat. «Questo è ancora da vedersi.»
35
La Contrada Maledetta
1
«Ma non sarà troppo rischioso, mio Signore?» domandò Anders, genuflesso davanti a Jack con il suo kilt bianco e rosso morbidamente raccolto attorno alle ginocchia, come una sottana.
«Jack?» lo chiamò Richard, emettendo un tenue verso stridulo.
«Perché, per te non sarebbe rischioso?» contestò Jack.
Anders reclinò lentamente la testa dalla grande chioma bianca e sbirciò Jack come se gli avesse proposto un indovinello. Sembrava un grosso cane perplesso.
«Voglio dire che per me sarà rischioso quanto lo sarebbe per te. Questo intendevo.»
«Ma mio Signore...»
«Jack?» chiamò di nuovo Richard, petulante. «Mi sono addormentato e adesso dovrei essere sveglio, ma ci troviamo ancora in questo posto impossibile, perciò sto ancora sognando... ma voglio essere sveglio, Jack. Non voglio più fare questo sogno. No, non voglio.»
Ed è per questo che hai distrutto quei tuoi dannati occhiali, disse a se stesso Jack. Ad alta voce: «Questo non è un sogno, Richie. Stiamo per metterci in viaggio. Questa volta prenderemo il treno».
«Eh?» borbottò Richard, sfregandosi la faccia e mettendosi a sedere. Se Anders sembrava un grosso cane bianco in sottana, Richard era più che mai simile a un infante appena svegliatosi.
«Mio Signore Giasone», intonò Anders. Ora dava l'impressione di essere in procinto di piangere... di sollievo, giudicò Jack. «È la vostra volontà? È la vostra volontà di guidare quella macchina infernale attraverso la Contrada Maledetta?»
«Lo è», ribadì Jack.
«Dove siamo?» chiese Richard. «Sei sicuro che non ci seguono?»
Jack si girò verso di lui. Richard era seduto sul pavimento e sbatteva stupidamente le palpebre mentre, come una nebbia, lo invadeva nuovamente il terrore. «Okay», si decise Jack. «Risponderò alla tua domanda. Siamo in una località dei Territori che si chiama Ellis-Breaks...»
«Mi fa male la testa», gemette Richard. Aveva chiuso gli occhi.
«E prenderemo il treno di quest'uomo», seguitò Jack, «per attraversare la Contrada Maledetta fino all'albergo nero, o comunque fin dove ci sarà possibile in quella direzione. Questa è la situazione, Richard, che tu ci creda o no. E prima ci muoviamo, prima sfuggiremo a chi stesse eventualmente meditando di darci la caccia.»
«Etheridge», mormorò Richard. «Il signor Dufrey.» Si guardò attorno come aspettandosi che i loro inseguitori sbucassero all'improvviso dalle pareti della stazione. «È un tumore cerebrale, sai», disse a Jack nel tono compito di una dichiarazione perfettamente logica. «Ecco che cos'è. Il mio mal di testa.»
«Mio Signore Giasone», stava declamando il vecchio Anders, così profondamente inginocchiato che toccava le assi storte del pavimento con i capelli. «Come siete buono, oh Altezza, come siete buono con il vostro più umile servitore. Come siete buono con coloro che non meritano l'onore della vostra presenza...» Allungò il collo e con orrore Jack si rese conto che stava per riprendere a tempestargli i piedi di baci.
«È in stadio già avanzato, direi», meditò a voce alta Richard.
«Alzati, per piacere, Anders», ordinò Jack, indietreggiando di un passo. «Alzati, basta così.» Il vecchio continuò a strisciare sulle ginocchia bofonchiando la sua riconoscenza per non dover affrontare la Contrada Maledetta. «Alzati!» tuonò Jack.
Anders alzò solo la testa, con la fronte aggrottata. «Sì, mio Signore.» Poi si alzò lentamente in piedi.
«Porta qui il tuo tumore cerebrale, Richard», disse Jack. «Andiamo a vedere se riusciamo a capire come far funzionare questo treno.»
2
Anders era andato al bancone e stava rovistando nel cassetto. «Io credo che lo facciano funzionare i demoni, mio Signore», affermò. «Diavoli strani che se ne stanno laggiù tutti insieme, sembra che non vivano, e invece...» Dal cassetto estrasse la candela più lunga e più grossa che Jack avesse mai visto. Da una scatola che si trovava sul banco, Anders scelse una strisciolina di legno lunga due spanne che avvicinò alla fiamma di una delle lampade accese. La striscia di legno prese fuoco e Anders se ne servì per accendere la sua enorme candela. Poi si mise ad agitare questo "fiammifero" finché la fiamma non spirò in una voluta di fumo.
«Diavoli?» domandò Jack.
«Strane cose quadrate. Io credo che là dentro ci siano i diavoli. Vedeste come sputano e mandano scintille! Ve lo mostrerò, mio Signore Giasone.»
Quindi si diresse senz'altro alla porta e per un momento il bagliore caldo della candela gli cancellò le rughe dalla faccia. Jack lo seguì all'esterno, nelle dolci vastità dei Territori. Ricordava una fotografia appesa nell'ufficio di Svelto Parker, una fotografia che gli era sembrata carica di un inesplicabile potere e adesso si rendeva conto di trovarsi appunto vicino al luogo dove era stata scattata. In lontananza si ergeva una montagna che gli sembrava di conoscere. Ai piedi dell'altura si srotolavano campi di grano di tutte le dimensioni, nel loro lento e simmetrico ondeggiare. Richard Sloat lo seguiva titubante, massaggiandosi la fronte. Le due rotaie d'argento, così stonate con il resto del paesaggio, si protendevano inesorabilmente verso ovest.
«La rimessa è qui dietro, mio Signore», disse sommessamente Anders, avviandosi quasi con timidezza. Jack osservò ancora la montagna lontana. Ora non somigliava più molto a quella della fotografia di Svelto, gli sembrava più recente, una montagna occidentale, non orientale.
«Che cos'è questa storia di Giasone? Perché ti chiama mio Signore?» gli domandò Richard bisbigliandogli all'orecchio. «Quello è convinto di conoscerti.»
«È difficile da spiegare», rispose Jack.
Richard si strattonò il fazzoletto che aveva al collo, quindi afferrò un bicipite di Jack. Lo stritolatore di Kansas City. «Che cosa è successo alla scuola, Jack? Che cosa è successo ai cani? Dove siamo?»
«Vieni con me e non ti preoccupare di niente», ribatté Jack. «Probabilmente stai ancora sognando.»
«Sì», convenne Richard, con evidente sollievo. «Sì, è così, no? Sto ancora dormendo. Tu mi hai raccontato tutte quelle storie pazzesche sui Territori e adesso non posso fare a meno di sognarmele.»
«Infatti», confermò Jack, incamminandosi dietro ad Anders.
Reggendo la sua enorme candela come una fiaccola il vecchio girò intorno alla stazione diretto a un'altra costruzione di legno, a pianta ottagonale e un poco più grande. I ragazzi lo seguirono nell'alta erba gialla. Anche qui c'era un globo trasparente nel quale brillava un lume e a quella luce i due visitatori videro che questo secondo fabbricato aveva due aperture sui lati opposti, come se dall'ottagono fossero state ritagliate due delle facce. Le rotaie argentee passavano attraverso i due varchi. Anders si fermò e aspettò che lo raggiungessero. Con la sua grossa candela in mano, con quella lunga barba e quel singolare abbigliamento, sembrava il personaggio di qualche leggenda o fiaba, uno stregone o un mago.
«È qui dentro, dove è sempre stato da quando è arrivato, e che i demoni se lo portino via.» Anders rivolse un'espressione buia ai ragazzi e tutte le sue rughe divennero più marcate. «Un'invenzione dell'inferno. Un oggetto malefico.» Quando i ragazzi furono al suo cospetto non si mossero, limitandosi a gettare un'occhiata alle spalle. Non gli andava nemmeno di avvicinarsi a quel treno. «Metà del carico è a bordo e anche quello puzza d'inferno.»
Jack entrò costringendo Anders a stargli dietro. Richard avanzava incespicando, strofinandosi gli occhi. Il piccolo treno era rivolto a ovest: una locomotiva dall'aspetto strano, un carro chiuso, un carro merci coperto da un'incerata tesa. Era da questo carro che veniva l'odore cattivo di cui si era lamentato Anders. Era un odore forte, non dei Territori, di lubrificante e di metallo.
Richard andò a rifugiarsi immediatamente in uno degli angoli della rimessa, si sedette per terra con la schiena appoggiata alla parete e chiuse gli occhi.
«Sapete come funziona, mio Signore?» domandò Anders a voce bassa.
Jack scrollò la testa e risalì il treno fino alla motrice. Sì, questi erano i "demoni di Anders". Erano batterie, come Jack aveva supposto. Sedici, disposte su due file collegate assieme in un contenitore metallico sostenuto dalle prime quattro ruote del veicolo di testa. La parte anteriore del treno somigliava a una versione raffinata di un carretto a pedali, di quelli che usano i fattorini per le consegne; solo che dove avrebbe dovuto esserci il sellino con la ruota di bicicletta e la catena, c'era invece una piccola cabina che ricordò a Jack qualcosa che lì per lì gli sfuggiva.
«I demoni parlano al bastone», lo informò Anders da dietro.
Jack si issò nella cabina. Il "bastone" al quale alludeva Anders era una leva di cambio infilata in una fessura provvista di tre tacche. E allora Jack capì che cosa gli ricordava quella cabina. Il treno funzionava sul principio dei veicoli che circolano sui campi da golf. Alimentato dalle batterie, era provvisto di tre marce: avanti, folle e indietro. Era l'unico tipo di veicolo che avrebbe potuto funzionare nei Territori e certamente Morgan Sloat se l'era fatto costruire appositamente.
«I demoni nelle scatole sputacchiano e mandano scintille e parlano al bastone e il bastone muove il treno, mio Signore.» Anders, molto a disagio, si era fermato accanto alla cabina con la faccia distorta in una straordinaria maschera di rughe.
«Tu avevi in programma di partire all'alba?» domandò Jack.
«Sì.»
«Ma il treno è già pronto?»
«Sì, mio Signore.»
Jack annuì e saltò giù.
«Che cosa trasporta?»
«Oggetti del diavolo», rispose Anders, funereo. «Per i Lupi cattivi. Che li portino all'albergo nero.»
Guadagnerei un decisivo vantaggio su Morgan Sloat se partissi adesso, pensò Jack. E lanciò un'occhiata perplessa a Richard, che era riuscito a riaddormentarsi. Sloat avrebbe potuto far uso di questi "oggetti del diavolo", sicuramente armi di qualche genere, contro di lui appena si fosse avvicinato all'albergo nero, perché l'albergo era la destinazione del suo viaggio, di questo si sentiva ormai sicuro, e tutto questo sembrava condurre alla conclusione che Richard, per quanto inutile e irritante fosse in questo momento, sarebbe stato un elemento sostanziale nella sua impresa, assai più di quanto aveva potuto immaginare. Il figlio di Sawyer e il figlio di Sloat. Il figlio del principe Sawtelle e il figlio di Morgan di Orris. Per un attimo l'universo ruotò sulla testa di Jack, che si sentì percorrere da una seconda intuizione: che Richard potesse essere di contributo decisivo per quello che si sarebbe trovato a dover fare all'albergo nero. Richard brontolò nel sonno e continuò a dormire con le labbra dischiuse, e la sensazione di profonda comprensione che Jack aveva avuto svanì in un lampo.
«Diamo un'occhiata a questi aggeggi diabolici», disse. Girò su se stesso e tornò indietro. Mentre risaliva il treno notò per la prima volta che il pavimento della rimessa ottagonale era diviso in due sezioni. La gran parte era occupata da un enorme disco, una specie di vasto piatto di portata. Lungo la circonferenza di questo disco c'era una fessura al di là della quale il pavimento arrivava fino alle pareti. Era la prima volta che visitava di persona una rimessa per locomotive e ora ne capiva il funzionamento: il grande disco poteva essere girato di centottanta gradi. Normalmente i convogli arrivavano da est e ripartivano nella medesima direzione. L'incerata era stata fissata sul carico con una corda grossa e marrone, così irsuta da sembrare fabbricata con lana d'acciaio. Con un notevole sforzo Jack sollevò un lembo e vi sbirciò sotto, ma vide solo buio. «Aiutami», chiese ad Anders.
Il vecchio venne avanti, corrucciato, e con un movimento lesto e abile disciolse un nodo. L'incerata si sollevò. Ora, quando Jack sollevò il lembo, vide che il carro era occupato per metà da casse di legno sulle quali era stampigliato PEZZI DI RICAMBIO. Armi, pensò: Morgan intende armare i suoi Lupi ribelli. L'altra metà del carro era invece ingombra di voluminosi pacchi rettangolari di una sostanza molliccia avvolti in grandi fogli di plastica trasparente. Jack non seppe identificare quella sostanza, comunque era sicuro che non fosse semplice pasta lievitata. Lasciò ricadere l'incerata e si ritrasse e Anders riannodò la grossa corda. «Partiamo questa notte», decise Jack lì per lì.
«Ma, mio Signore Giasone... la Contrada Maledetta... di notte... vi rendete conto...»
«Mi rendo perfettamente conto», lo interruppe Jack. «Mi rendo conto che devo approfittare più che posso dell'elemento sorpresa. Morgan e quell'uomo che i Lupi chiamano Quello dello Scudiscio verranno a cercarmi. E se io arrivo dodici ore prima di quando si attende questo treno, avrò qualche probabilità di salvare la pelle mia e quella di Richard.»
Anders annuì turbato e di nuovo sembrò un cane mastodontico che si sforza di rassegnarsi a un fatto poco piacevole.
Jack tornò a guardare Richard, che dormiva seduto con la bocca aperta come sapendo quel che Jack aveva in mente. Anche Anders si girò a guardare Richard. «Morgan di Orris aveva un figlio?» domandò Jack.
«L'aveva, mio Signore. Il breve matrimonio di Morgan diede il suo frutto... un maschio di nome Rushton.»
«E che cosa è stato di Rushton? Come se non lo indovinassi da me.»
«Morì», rispose semplicemente Anders. «Non era destino che Morgan di Orris fosse padre.»
Jack rabbrividì ricordando come il suo nemico si era materializzato nell'aria e per poco non aveva massacrato tutta la mandria di Lupo.
«Partiamo», annunciò. «Anders, vuoi aiutarmi per piacere a issare Richard in cabina?»
«Mio Signore...» Anders chinò la testa, poi la risollevò e rivolse a Jack uno sguardo che era quasi di paterna apprensione. «Il viaggio richiederà almeno due giorni, forse tre prima che arriviate alla costa occidentale. Avete cibo? Volete dividere con me il mio pasto serale?»
Jack scrollò la testa, impaziente di cominciare l'ultima tappa del suo viaggio, ma proprio allora il suo stomaco protestò vivacemente ricordandogli il lungo tempo trascorso da quando aveva mangiato peperoni e biscotti nella stanza di Albert detto Bombolo. «Mah», si ravvide, «immagino che un'altra mezz'ora non farà differenza. Grazie, Anders. Allora mi aiuti a rimettere in piedi Richard?» E poi, rifletté, forse non moriva proprio dalla voglia di avventurarsi nella Contrada Maledetta.
Insieme issarono Richard in piedi. Come un ghiro aprì gli occhi, sorrise, e si riaddormentò. «Da mangiare», gli disse Jack. «Cibo vero, ti va, socio?»
«Non mangio mai nei sogni», rispose con surreale razionalità Richard. Sbadigliò, si passò le dita sugli occhi. Lentamente trovò l'equilibrio e non ebbe più bisogno di appoggiarsi ad Anders e Jack. «Però ho molta fame, a essere sincero. È ben lungo questo mio sogno, non è vero, Jack?» Ne sembrava quasi orgoglioso.
«L'hai detto», confermò Jack.
«Ehi, quello è il treno che dobbiamo prendere noi? Sembra un disegno di cartoni animati.»
«Già.»
«Ma sei capace di far funzionare quel macinino, Jack? È tutto un sogno, questo lo so, però...»
«È più difficile far funzionare il mio vecchio trenino elettrico», rispose Jack. «Posso farlo viaggiare io come puoi farlo tu.»
«Ma io non voglio», si schermì subito Richard, e la sua voce ridiventò petulante. «Non voglio nemmeno salirci, su quel treno. Voglio ritornare nella mia stanza.»
«Invece vieni a mangiare qualche cosa», lo esortò Jack, cominciando a sospingerlo verso l'uscita. «Poi si parte per la California.»
Così i Territori mostrarono ai ragazzi una delle loro facce migliori prima che essi si avventurassero nella Contrada Maledetta. Anders servì loro consistenti fette di pane fragrante ricavato evidentemente da quel grano che cresceva intorno alla stazione, spiedini di pezzetti di carne tenerissima e verdure sconosciute, ma carnose e piene di linfa, insieme con un piccante succo color rosa che per qualche motivo fece ricordare a Jack il gusto della papaya. Richard masticò trasognato lasciando che il succo gli grondasse sul mento e che Jack s'incaricasse di pulirlo. «California», disse a un certo punto. «Avrei dovuto immaginarlo.» Presumendo che volesse alludere alla reputazione di follia che aveva quello stato, Jack preferì non investigare. Era più preoccupato per la razzia che loro due stavano perpetrando ai danni di Anders, che presumibilmente non aveva ingenti scorte di cibo; tuttavia il vecchio continuava a correr dietro al bancone dove lui o suo padre prima di lui avevano installato un fornellino a legna, dal quale tornava con altre vivande. Ciambelle di grano, gelatina di piede di vitello, qualcosa di simile a cosce di pollo che però avevano il sapore di... che cosa? Incenso e mirra? Fiori? Un sapore intenso che praticamente gli esplose sulla lingua e allora pensò che forse avrebbe cominciato a sbavare anche lui.
Sedevano intorno a un tavolino nell'atmosfera mielata della stanza. Alla fine del pasto Anders, quasi timidamente, presentò loro una pesante brocca per metà piena di vino. Jack ne bevve un bicchierino, sentendosi protagonista di un copione altrui.
3
Due ore dopo, mentre cominciava a sentirsi insonnolito, Jack si domandava se quel pasto enorme non fosse stato un errore ugualmente enorme. Per cominciare c'era stata la partenza da Ellis-Breaks e dal Capolinea, che non era stata delle più semplici; in secondo luogo c'era stato Richard che aveva dato l'impressione di impazzire davvero; per finire sulla nota più sventurata, c'era la Contrada Maledetta, la quale era assai più pazzesca di quanto sarebbe mai potuto essere Richard e meritava la massima concentrazione.
Dopo la cena i tre erano tornati alla rimessa e lì erano cominciati i guai. Jack sapeva di aver paura di quello che l'attendeva (e adesso sapeva anche che la sua paura era stata del tutto giustificata) e forse la trepidazione lo aveva indotto a comportarsi al di sotto delle sue capacità. La prima difficoltà l'aveva incontrata quando aveva cercato di ripagare il vecchio Anders con la moneta donatagli dal capitano Farren. Anders aveva reagito come se l'amato Giasone l'avesse pugnalato alle spalle. Sacrilegio! Insulto! Offrendo la moneta Jack aveva involontariamente oltraggiato il vecchio stalliere; aveva metaforicamente gettato fango sul suo credo. Evidentemente non era previsto che le divinità recuperate a questo mondo per un volere sovrannaturale offrissero monete ai loro seguaci. L'offerta aveva sconvolto Anders al punto di spingerlo a calare una violenta manata sulla "scatola del diavolo", come chiamava il contenitore delle batterie, e Jack intuiva che dominava a stento la tentazione di colpire un altro bersaglio. Non era riuscito a rappacificarlo più che tanto, perché Anders rifiutava le sue scuse quanto rifiutava il suo denaro. Poi il vecchio si era calmato, soprattutto accorgendosi dello scoramento del ragazzo, ma non ridiventò normale finché Jack non ebbe ipotizzato a voce alta che la moneta del capitano Farren potesse avere altre funzioni in serbo per lui. «Voi non siete Giasone fino in fondo», aveva osservato allora il vecchio, imbronciato, «tuttavia la moneta della Regina potrà aiutarvi nel vostro destino.» Poi aveva scrollato la testa e il suo gesto di saluto era stato decisamente meccanico.
Ma in gran parte questo era dovuto a Richard. Quello che era cominciato come un panico infantile era sfociato rapidamente in terrore autentico. Richard si era rifiutato di montare in cabina. Fino a quel momento aveva vagato per la rimessa evitando di guardare il treno, come se fosse in uno stato di stupore e inerzia mentale. Poi aveva capito che Jack faceva sul serio e che intendeva davvero farlo montare su quel veicolo e allora aveva cominciato a dare in escandescenze, soprattutto angosciato dalla prospettiva di finire in California. «No! No! Mai più!» aveva urlato Richard, quando Jack aveva cercato di spingerlo verso il treno. «Voglio tornare nella mia stanza!»
«Richard, forse ci stanno braccando», gli aveva ricordato pazientemente Jack. «Bisogna che ce ne andiamo.» Lo aveva preso per un braccio. «Questo è tutto un sogno, no?»
«Oh mio Signore, oh mio Signore», recitava Anders girando per la rimessa, e questa volta non alludeva a Jack.
«Devo tornare nella mia stanza!» starnazzò Richard. Teneva gli occhi serrati con tale forza che gli erano comparsi dei solchi.
Per Jack era come se qualcuno avesse evocato Lupo. Aveva cercato di spingere Richard verso il treno, ma Richard aveva puntato i piedi come un mulo. «Non posso salire là sopra!» aveva urlato.
«Be', non puoi nemmeno restare qui», gli aveva fatto notare Jack. Questa volta era riuscito a spingerlo di mezzo metro. «Richard», lo aveva pregato, «tutto questo è ridicolo. Vuoi restare qui da solo? Vuoi restare solo nei Territori?» Richard aveva scrollato la testa. «Allora vieni con me. È ora. Fra un paio di giorni saremo in California.»
«Brutta storia», borbottava Anders osservando i ragazzi. Richard continuava ad agitare la testa in segno di diniego. «Non posso. Non posso salirci», ripeteva. «Non posso salire su quel treno e non posso andare laggiù.»
«In California?»
Richard aveva sigillato la bocca facendosi scomparire le labbra e aveva chiuso di nuovo gli occhi. «Oh, diavolo», aveva imprecato Jack. «Mi puoi dare una mano, Anders?»
Il vecchio gigante gli aveva rivolto un'occhiata quasi sprezzante e poi era avanzato a passo di marcia e aveva raccolto Richard fra le braccia, quasi che non fosse più grande di un cucciolo di cane. Il ragazzo aveva in effetti guaito come un cucciolo. Anders lo aveva depositato sul panchetto imbottito della cabina. «Jack!» aveva gridato Richard, temendo di dover partire da solo per la Contrada Maledetta.
«Sono qui», lo aveva confortato Jack, salendo dall'altra parte. «Grazie, Anders», aveva detto al vecchio stalliere, che annuiva con aria torva mentre si ritirava in un angolo della rimessa.
«Siate prudente.» Richard aveva cominciato a piagnucolare e Anders lo contemplava con scarsa misericordia.
Jack aveva premuto il pulsante di avviamento e dalla "scatola del diavolo" erano scaturite due lunghe scintille azzurre. Contemporaneamente il motore aveva cominciato a ronzare. «Ecco», aveva esclamato Jack spingendo in avanti la leva, e il treno si era mosso. Richard continuava a singhiozzare con la bocca contro le ginocchia. Ripeteva parole come «assurdo» o «impossibile» con la faccia nascosta dietro le gambe. Sembrava che stesse cercando di raggomitolarsi in una palla. Jack aveva alzato il braccio per salutare Anders, il quale aveva risposto alla stessa maniera, e poco dopo il convoglio abbandonava la rimessa illuminata per essere abbracciato solo dal grande cielo buio. Anders era apparso sulla soglia del portone dal quale erano appena usciti come se volesse correr loro dietro. Il treno non poteva superare i cinquanta chilometri orari al massimo, secondo i calcoli di Jack, e al momento procedeva a quindici circa. La lentezza era esasperante. Ovest, ripeteva Jack dentro di sé. Ovest, Ovest, Ovest. Anders si era ritratto all'interno della rimessa con la barba sciolta sul largo torace come una spruzzata di neve. Il treno aveva sussultato, dal contenitore si era alzata crepitando un'altra scintilla azzurrognola e Jack si era girato sul sedile per guardare in avanti.
«No!» aveva strillato Richard e per un pelo Jack non era rotolato fuori dalla cabina per la sorpresa. «Non posso andarci!» Aveva staccato la testa dalle ginocchia, ma non vedeva niente perché teneva ancora gli occhi serrati e tutta la sua faccia sembrava una noce. «Zitto», gli aveva intimato Jack. Il binario attraversava la sconfinata pianura di grano; a occidente una catena di montagne lambiva le nuvole come una vecchia dentiera. Jack si era voltato a guardare per un'ultima volta e vide la piccola oasi di tepore e luce della stazione e la rimessa ottagonale che venivano lentamente ingoiate dall'oscurità. Anders era un'ombra alta e massiccia nel vano della porta. Jack aveva alzato ancora una volta il braccio e anche la grande ombra lo aveva salutato. Poi Jack era tornato a contemplare l'immensità della coltura, quella lirica vastità che lo circondava. Se la Contrada Maledetta era così, prevedeva due giornate decisamente riposanti.
Ma naturalmente non era affatto così. Nonostante la luce lunare fosse assai fioca, Jack si era accorto che gli steli del grano erano più radi, via via più malandati: il paesaggio aveva cominciato a cambiare un'ora dopo la partenza. Persino il colore sembrava sbagliato adesso. Quasi artificiale, tutt'altro che quel promettente giallo organico di prima; ora era piuttosto il giallo di vegetazione troppo a ridosso di una potente fonte di calore, il giallo di qualcosa la cui vita fosse stata già abbondantemente ustionata. Anche Richard sembrava ora più morto che vivo. Per un po' si era dato all'iperventilazione, poi aveva piagnucolato senza rumore e senza vergogna come una ragazza piantata dal suo innamorato, infine si era assopito, ma il suo sonno era agitato, sconnesso, rotto da brontolii nei quali Jack aveva l'impressione di riconoscere frasi come «Non posso tornare». E durante il sonno era sembrato avvizzirsi.
L'alterazione nel paesaggio era sempre più vistosa. Dalle grandi pianure di Ellis-Breaks, ora si passava a un alternarsi di reclusi avvallamenti e buie vallette zeppe di alberi neri. Dappertutto c'erano grandi massi, crani, uova, zanne gigantesche. E anche il terreno era cambiato: ora era molto più sabbioso. Due volte le rotaie erano passate fra le pareti di una valle ostruendo la visuale di Jack, che lì riusciva a vedere solo contrafforti rossicci ricoperti di rampicanti. Ogni tanto aveva l'impressione di scorgere un animale che correva a nascondersi, ma la luce era troppo debole e l'animaletto troppo veloce perché riuscisse a identificarlo. Ma gli restava la sensazione inquietante che se la bestia si fosse paralizzata al centro di un viale a mezzogiorno, lo stesso non sarebbe riuscito a riconoscerla: sicuramente aveva la testa due volte più grande del normale ed era meglio per tutti che non si rivelasse a occhio umano.
Allo scoccare del novantesimo minuto di viaggio, Richard continuava a gemere nel sonno e il paesaggio era diventato più strano che mai. Emergendo dalla seconda valle incassata, Jack aveva avuto la sorpresa di sbucare in un'altra pianura e dapprincipio ne ebbe un senso gradevole, come se fosse tornato ai Territori, al paese dei miraggi. Poi nonostante il buio aveva notato che qui gli alberi erano contorti e deformi. Poco dopo si era accorto dell'odore. Probabilmente ne stava prendendo lentamente coscienza già da qualche tempo, ma solo dopo aver notato come i pochi alberi di questa pianura nera si erano avvitati su se stessi come bestie torturate, si era finalmente reso conto di quell'odore, un inequivocabile tanfo di putredine. Decomposizione, fuoco dell'inferno. Qui i Territori puzzavano, o quasi.
Incombeva l'odore di fiori morti da tempo; e sotto di esso c'era una fragranza più penetrante e rozza. Se Morgan, nell'una o nell'altra spoglia, era artefice di tutto questo, allora in qualche modo aveva portato la morte nei Territori.
Adesso non c'erano più valli incassate e canaloni. Adesso si estendeva davanti a lui un vasto deserto rosso. Quegli alberi deformi erano sparsi ai limiti di questa grande distesa. Davanti a Jack, le rotaie argentee si tuffavano nella rossastra oscurità del nulla; ai suoi lati altro deserto si espandeva nell'oscurità.
In ogni caso sembrava che non ci fosse essere vivente nei paraggi. Per alcune ore Jack non scorse altro che animaletti deformi nascosti ai bordi della trincea ferroviaria, ma c'erano volte in cui percepiva un improvviso movimento con la coda dell'occhio e quando si girava a guardare non c'era più niente. Cominciò a pensare di essere seguito. Poi, per venti o trenta minuti di angoscia, credette di essere braccato dagli studenti canini della Thayer School. Ovunque guardasse c'era qualcosa che cessava in quell'istante di muoversi, o perché si era infilato dietro a uno di quegli alberi accartocciati o perché si era interrato nella sabbia. E durante questo periodo il deserto della Contrada Maledetta non gli era sembrato affatto deserto o morto, bensì brulicante di vita nascosta e strisciante. Spingeva in avanti la leva del treno (come se potesse servire a qualcosa) implorandolo di andare più veloce, più veloce. Richard era accasciato sul sedile e piagnucolava. Jack s'immaginava di essere circondato da tutte quelle creature, quegli esseri che non erano né cani né umani e pregava che Richard continuasse a tenere gli occhi chiusi.
«No!» gridò Richard nel sonno.
Anche questa volta per poco Jack non schizzò fuori dalla cabina. Vedeva Etheridge e il signor Dufrey che li rincorrevano. E guadagnavano terreno, con la lingua fuori, le spalle in movimento. Poi si rese conto che vedeva solo le ombre che viaggiavano ai lati del convoglio. Gli studenti e il loro preside al galoppo si erano spenti come le candeline di una torta di compleanno.
«Là no!» latrò Richard. Jack trasse un respiro lento. Doveva convincersi che erano al sicuro. Le insidie della Contrada Maledetta erano un'esagerazione letteraria. Fra non molte ore il sole avrebbe fatto nuovamente capolino. Jack si avvicinò l'orologio agli occhi e vide che erano in viaggio da circa due ore. Si concesse un grande sbadiglio e si trovò a rimpiangere di aver mangiato tanto alla stazione.
Sarà come bere un bicchier d'acqua, pensò...
E proprio in quel momento scorse la prima sfera di fuoco che cancellò per sempre ogni sua pia illusione.
4
Una palla di luce di almeno tre metri di diametro sbucò dalla linea dell'orizzonte, rovente, puntando direttamente sul treno. «Merda secca», mormorò Jack, ricordando quello che gli aveva riferito Anders di queste palle di fuoco. Deglutì e fu come se avesse ingoiato una manciata di chiodi. «Dio, ti prego», implorò a voce alta. La gigantesca sfera di luce gli piombava addosso come se fosse dotata di mente pensante e avesse deciso di cancellare dalla faccia della terra Jack Sawyer e Richard Sloat. Avvelenamento da radiazioni. Gli si contrasse lo stomaco e i testicoli gli si congelarono fra le gambe. Avvelenamento da radiazioni. Vomito e vomito finché ti si lacera lo stomaco...
La cena squisita preparata da Anders per poco non gli sgorgò dalla bocca. La sfera di fuoco stava arrivando, lanciando scintille e crepitando della propria cocente energia. Dietro di essa si allungava una scia splendente che sembrava istigare magicamente altri crepitii, focolai d'incendio nel brullo terreno rossastro. Quando la sfera infuocata spiccò un balzo zigzagando nell'aria come una gigantesca palla da tennis e sbandando verso sinistra senza recare danno al treno, Jack vide per la prima volta le creature di cui aveva percepito la presenza. La luce emessa dalla sfera di fuoco e i residui della scia che aveva lasciato sul terreno illuminarono un gruppo di animali deformati, quelli che evidentemente seguivano il convoglio. Erano cani o quanto meno lo erano stati, o erano stati generati da cani. Jack girò nervosamente gli occhi verso Richard per assicurarsi che stesse dormendo ancora. Le creature dietro il treno s'appiattirono per terra come serpi. Avevano muso di cane, ma dai loro corpi pendevano solo le vestigia di zampe ed erano nell'insieme, per quel che gli riusciva di vedere, glabri e privi di coda. E sembravano umidicci: la loro pelle liscia e rosea baluginava come quella di topolini appena nati. Ringhiavano perché detestavano di essere visti. Questi orribili mutanti di specie canina erano gli animali che Jack aveva intravisto nascosti ai lati della trincea ferroviaria. Esposti, appiattiti come rettili, sibilavano e ringhiavano cercando di allontanarsi: anche loro temevano le palle di fuoco e le scie ardenti che lasciavano sul terreno. Poi Jack avvertì l'odore della sfera rovente che filava veloce, quasi rabbiosamente verso l'orizzonte, incendiando un'intera fila di alberelli distorti. Fuoco dell'inferno, decomposizione.
Un'altra sfera di fuoco uscì da dietro l'orizzonte sfrecciando alla sinistra del convoglio. Puzzo di armonie mancate, di speranze condannate e di desideri maligni. Jack, con il cuore appena sotto la lingua, immaginava di trovare tutto questo nel tanfo emesso dalle sfere di fuoco. Mugolando, la folla di cani mutanti si era dispersa in uno scintillio minaccioso di denti, un bisbiglio di movimenti furtivi, il frusciare di corpi pesanti e privi di gambe che venivano trascinati nella polvere rossastra. Quanti saranno stati? Dalla base di un albero incendiato, due cani deformi gli mostrarono le zanne.
Poi un'altra palla di fuoco piombò dall'orizzonte lasciando una scia abbagliante a breve distanza dal treno e Jack ebbe tempo di scorgere una costruzione simile a una baracca, situata sulle pendici esterne del deserto. Davanti a essa c'era un'imponente figura umanoide, un maschio che lo contemplava. Ebbe un'impressione di forza fisica, pelle liscia, malvagità...
Jack era dolorosamente consapevole della lentezza del trenino di Anders e di quanto lui e Richard fossero esposti a chiunque avesse deciso di indagare più da vicino. La prima palla di fuoco aveva disperso quegli orribili esseri canini, ma gli abitanti umani della Contrada Maledetta erano forse meno propensi a lasciarsi intimorire. Prima che il bagliore della scia lasciata dalla sfera di fuoco si spegnesse, Jack vide che l'umanoide fermo davanti alla sua baracca seguiva il progredire del treno girando lentamente la testa chiomata. Se quelli che aveva visto erano cani, che aspetto potevano avere gli esseri umani? In un ultimo lampo della sfera di fuoco, l'uomo si mosse finalmente per girare dietro la sua abitazione. Si trascinava sulla schiena una voluminosa coda da rettile. Poi scomparve dietro la baracca e fu di nuovo buio e non fu più visibile nulla, né cani, né umanoidi, né abitazioni. Jack non era più nemmeno sicuro di averli visti davvero.
Richard trasalì nel sonno e Jack spinse nuovamente la leva nel vano tentativo di accelerare. I versi dei cani si affievolirono alle loro spalle. Sudando freddo, Jack si portò nuovamente il polso sinistro a livello degli occhi e vide che erano trascorsi solo quindici minuti dall'ultima volta che aveva controllato l'ora. Si sorprese a sbadigliare di nuovo e di nuovo rimpianse di aver mangiato tanto alla stazione.
«No!» urlò Richard. «No! Non posso andarci!»
Dove? si domandò Jack. Dove non poteva andare? In California? O forse Richard temeva che fosse il suo precario controllo a sfuggirgli e a finire in chissà quale luogo minaccioso e insicuro, come un cavallo selvaggio?
5
Per tutta la notte Jack restò alla leva mentre Richard dormiva. Guardava allungarsi le scie incandescenti che le sfere di fuoco lasciavano sulla superficie rossiccia del terreno. L'aria era impregnata del loro odore, un puzzo di fiori morti e di putrescenze nascoste. Di tanto in tanto udiva i versi dei cani mutanti o di altre povere creature celate fra le radici di alberi deturpati. Talvolta dalle batterie scaturivano lampeggianti archi azzurri. Richard era sprofondato in qualcosa di più di un semplice sonno, uno stato di incoscienza di cui aveva bisogno e che aveva volontariamente richiamato. Non lanciava più grida angosciate. Se ne stava accasciato in un angolo della cabina e respirava superficialmente, come se persino quello gli fosse troppo faticoso. Jack non sapeva se desiderare o temere la nascita del giorno. Con la luce avrebbe visto gli animali; ma che cos'altro avrebbe visto?
Di tanto in tanto controllava Richard. Il suo amico era tremendamente pallido, la sua pelle aveva assunto una sfumatura grigiastra che era quasi spettrale.
6
Giunse il mattino a disperdere le tenebre. Una striscia rosa apparve ai margini della grande conca e cominciò a salire nel cielo espandendosi come una crescente promessa. Jack si sentiva gli occhi infiammati e le gambe indolenzite. Richard occupava tutto il sedile della piccola cabina e respirava a ritmo contratto, quasi di malavoglia. Ora Jack vedeva che la faccia di Richard era davvero grigia. Le sue palpebre vibravano in un sogno e Jack si augurò che il suo amico non cacciasse un altro dei suoi gridi improvvisi. In effetti Richard aprì la bocca, ma ne fece uscire solo la punta della lingua. Se la passò sul labbro superiore, grugnì e risprofondò nel suo coma stupefatto.
Per quanto disperatamente Jack desiderasse sedersi e chiudere gli occhi a sua volta preferì non disturbarlo. Il fatto è che più la luce illuminava il paesaggio e lui ne coglieva i dettagli, più si augurava che Richard rimanesse in stato di incoscienza almeno per tutto il tempo che lui fosse riuscito a sopportare la scomodità della posizione nell'angusta cabina. Aveva assai poco desiderio di assistere alla reazione di Richard Sloat di fronte alle follie della Contrada Maledetta. Qualche indolenzimento, le pene dell'affaticamento, erano un prezzo assai modesto da pagare per una pace che sarebbe stata comunque solo temporanea.
Quello che vedeva dagli occhi semichiusi era un paesaggio in cui nulla sembrava essere sfuggito a danni irreparabili. Nella luce della luna gli era sembrato di attraversare un grande deserto, per quanto vi crescessero alcuni alberi. Ora Jack vedeva che questo "deserto" era ben altra cosa. Quella che aveva scambiato per una sabbia rossiccia era una polvere nella quale probabilmente un uomo sarebbe sprofondato fino alle caviglie, se non alle ginocchia. Da questo suolo disseccato crescevano quei poveri alberi. Di giorno non erano molto diversi da come gli erano apparsi di notte, così contorti da dare l'impressione che tentassero con tutte le forze di incurvarsi per conficcarsi fra le proprie radici. Già questo era un brutto spettacolo, fin troppo in ogni caso per il molto razionale Richard. Ma quando scorgevi appena questi alberi, quando ne registravi la presenza con la coda dell'occhio soltanto, allora vedevi una creatura vivente torturata: i rami erano braccia alzate su una faccia tormentata congelata nell'atteggiamento di un urlo. Quando non li guardava direttamente, Jack vedeva volti straziati in ogni dettaglio, la O spalancata della bocca, gli occhi strabuzzati e il naso cadente, lunghe rughe come crepe nelle guance. Li vedeva imprecare, supplicare, ululare... le loro voci mute erano sospese nell'aria come fumo. Jack gemette. Come tutto il resto nella Contrada Maledetta, questi alberi erano stati avvelenati.
Per miglia e miglia tutt'intorno c'era solo questa pianura rossiccia punteggiata qua e là da ciuffi di erba di un color giallo acre, intenso come orina o vernice fresca. Se non fosse stato per quella colorazione innaturale, queste piccole zone sarebbero sembrate altrettante oasi, perché la scarsa vegetazione cresceva puntualmente sulle sponde di un piccolo specchio d'acqua. L'acqua era nera e sulla sua superficie navigavano chiazze oleose e il liquido sembrava comunque più denso dell'acqua, come se fosse anche quello impregnato d'olio, velenoso. Passando nei pressi della seconda di queste false oasi, Jack scorse la superficie dello stagno incresparsi e pensò con orrore che fosse proprio il liquido a vivere, che esso fosse una forma vivente tormentata quanto quegli alberi che desiderava non rivedere mai più. Poi, per pochi secondi, vide qualcosa emergere dal fluido denso, una schiena o un fianco, nero, che ruotò su se stesso e aprì all'improvviso grandi fauci fameliche che si richiusero inutilmente. Ebbe anche una sensazione di rivestimento a scaglie, che forse sarebbero state iridescenti sotto la pellicola di acqua nera. Madonna mia, pensò Jack, ma quello era un pesce? Gli era sembrato lungo sei o sette metri, troppo ingombrante per poter abitare un laghetto così ristretto. Una lunga coda avviò un gorgo nell'acqua prima che l'enorme creatura fosse nuovamente inghiottita da una profondità certamente considerevole.
Jack alzò di scatto la testa verso l'orizzonte, avendo l'impressione di una testa rotonda che faceva capolino. Allora colse all'improvviso un'altra incredibile incongruenza, analoga a quella vista poco prima all'apparire di quella sorta di mostro di Loch Ness in uno stagno così piccolo. Com'era possibile che una testa facesse capolino dall'orizzonte, santo cielo?
Perché l'orizzonte non era il vero orizzonte. Per tutta la notte e per tutto il tempo che impiegò prima di valutare più attentamente quali erano i limiti estremi della sua visuale, aveva erroneamente giudicato le dimensioni della Contrada Maledetta. Ora, finalmente, grazie al sole che cominciava a riconquistare il suo trono sul mondo, si rese conto di trovarsi in una grande vallata i cui bordi non erano i confini del mondo bensì le cime frastagliate di una catena di colli. Dunque chiunque avrebbe potuto tenergli dietro, mantenendosi appena oltre la cresta delle alture circostanti. Ricordò l'umanoide con la coda di coccodrillo che era sgattaiolato dietro la sua baracca. L'aveva forse seguito tutta la notte aspettando che si addormentasse?
Il treno attraversava la squallida valle procedendo a una velocità che a un tratto gli sembrò paurosamente insignificante.
Scrutò l'intero bordo delle colline e non notò altro che i raggi del nuovo sole indorare le rocce. Allora si girò completamente nella cabina, preso dall'ansia, al punto da dimenticarsi momentaneamente di quanto era stanco. Richard si coprì gli occhi con il braccio e continuò a dormire. Chiunque avrebbe potuto star loro dietro per tutta la notte, in attesa del momento più propizio.
A un lento movimento quasi impercettibile alla sua sinistra, trattenne istintivamente il fiato. Un movimento strisciante... Jack ebbe una visione di un gruppetto di uomini-coccodrillo che sbucavano dalla cresta e scendevano verso di lui. Si portò le mani al di sopra degli occhi per proteggerli dalla luce, guardando meglio lassù dove gli era sembrato di vederli. I roccioni erano macchiati dello stesso rosso del suolo di fondovalle e, fra di essi, passava in un crepaccio una pista ben disegnata. Ma fra le due pareti di roccia la sagoma che si stava muovendo non era nemmeno lontanamente umana. Era un serpente, o almeno così credette Jack. Stava imboccando una curva del sentiero tortuoso e Jack scorse appena il corpo rotondeggiante di rettile che scompariva dietro le rocce. La pelle di quella creatura gli era sembrata stranamente increspata e anche bruciata; aveva avuto l'impressione di scorgere fori slabbrati e neri... Jack continuò a ispezionare con lo sguardo le rocce, cercando il punto dove la creatura sarebbe riapparsa, e pochi istanti dopo assistette allo spaventoso spettacolo della estremità anteriore di un verme gigantesco per un quarto seppellito nella polvere rossa. Aveva pesanti palpebre calate quasi del tutto su occhi liquidi, ma era decisamente la testa di un verme.
Un altro animale sgattaiolò da sotto una roccia trascinandosi sul terreno e l'enorme testa di verme attaccò con una mossa felina. Jack ebbe il tempo di vedere che l'altra creatura era uno dei cani mutanti. Il verme aprì una bocca simile alla fessura di una cassetta per le lettere e risucchiò in un batter d'occhio la povera bestia. Si udì lo schiocco netto delle ossa fratturate. I vagiti del cane cessarono. L'enorme verme lo ingoiò come se fosse stato una pillola. Proprio davanti a questo essere mostruoso si allungava una delle strisce nere lasciate da una sfera di fuoco. Jack vide la lunga creatura rientrare nella polvere come una nave che affonda nell'oceano. Evidentemente sapeva che le tracce lasciate da una sfera di fuoco potevano procurargli danno e, da verme qual era, intendeva passarci sotto. Jack vide l'orrenda creatura scomparire completamente nella polvere rossa. Poi cominciò a investigare nervosamente tutt'attorno il pendio rossiccio cosparso qua e là di ciuffi d'erba gialla chiedendosi dove sarebbe riaffiorato il verme.
Quando si sentì almeno ragionevolmente sicuro che non avrebbe cercato di mangiarsi il treno, tornò a esaminare la cresta delle colline.
7
Prima che Richard si svegliasse nel tardo pomeriggio Jack vide:
almeno una testa che lo sorvegliava dalla cima di un colle;
due altre micidiali sfere infuocate che gli piombavano addosso;
lo scheletro decapitato di quello che scambiò dapprincipio per un grosso coniglio, ma nel quale riconobbe poco dopo l'ossatura di un neonato umano, spolpato fino all'ultimo brano, abbandonato accanto alle rotaie;
il teschio scintillante e rotondo del medesimo neonato, mezzo sprofondato nel suolo cedevole;
una muta di cani dalla testa grossa, più guastati di quelli in cui si era imbattuto in precedenza; strisciavano patetici dietro al treno, sbavando per la fame;
tre baracche di assi, abitazioni umane fabbricate su palafitte nella polvere densa, a dimostrazione che da qualche parte in quella landa puzzolente e seviziata che era la Contrada Maledetta altre persone si arrovellavano e andavano a caccia di cibo;
un piccolo volatile dalla pelle coriacea e priva di piume, con una faccia barbuta da scimmia (un vero tocco dei Territori) e con dita perfettamente delineate che sporgevano all'estremità delle ali;
e peggio di tutto il resto (lasciando da parte quello che credette di vedere) due animali assolutamente irriconoscibili che bevevano a una delle pozze nere, animali provvisti di denti lunghi e occhi umani e zampe anteriori come quelle di suini e zampe posteriori come quelle di grossi felini. Avevano la faccia irsuta. Passando vicino agli animali che si abbeveravano, Jack vide che il maschio aveva testicoli tumefatti, grossi come cuscini, striscianti per terra. Che cosa aveva creato questa mostruosità? Molto probabilmente erano state le esplosioni nucleari, visto che non esisteva altro capace di deformare fino a quel punto la natura. Queste creature, nate avvelenate, succhiavano dal muso acqua altrettanto avvelenata mentre brontolavano al passaggio del trenino.
E un giorno anche il nostro mondo potrebbe essere così. Che bellezza.
8
Poi c'erano tutte le cose che credette di vedere. Cominciò a sentirsi la pelle surriscaldata e invasa dal prurito. Si era già sbarazzato del poncho che aveva sostituito il cappotto di Myles P. Kiger abbandonandolo sul fondo della cabina. Prima di mezzogiorno si tolse anche la camicia. Aveva un saporaccio in bocca, un'acida combinazione di metallo arrugginito e frutta marcia. Il sudore gli colava dall'attaccatura dei capelli negli occhi. Era così stanco che cominciò a sognare in piedi con gli occhi aperti e brucianti di sudore. Vide branchi nutriti di cani osceni che correvano per le colline; vide nubi rossicce squarciarsi e abbassare verso di lui e Richard lunghe braccia di fuoco, braccia di diavolo. Quando finalmente i suoi occhi si chiusero, vide Morgan di Orris alto quattro metri e vestito di nero, che scagliava fulmini aprendo enormi crateri nella polvere del deserto.
Richard gemette e brontolò: «No, no, no».
Morgan di Orris si dissolse in uno sbuffo di nebbie quando Jack riaprì dolorosamente gli occhi.
«Jack?» lo chiamò Richard.
Davanti al treno la valle era deserta, percorsa solo dalle tracce annerite delle sfere di fuoco. Jack si sfregò gli occhi e guardò Richard che si stava stiracchiando debolmente. «Ehi, come va?»
Richard era ancora sdraiato sul sedile scomodo e sbatteva lentamente le palpebre. La sua faccia era sempre grigia e tesa.
«Scusa se te l'ho chiesto», disse Jack.
«No», rispose Richard, «mi sento meglio, davvero.» E Jack si sentì riscattare da almeno un briciolo di tensione. «Ho ancora mal di testa, ma sto meglio.»
«Non hai fatto che parlare mentre... ehm...» cominciò Jack per poi domandarsi fino a che punto il suo amico fosse in grado di accettare la realtà.
«Mentre dormivo. Sì. È probabile.» Richard fece una smorfia, ma questa volta Jack non si preparò a un urlo. «Adesso so che non sto sognando, Jack. E so di non avere un tumore cerebrale.»
«Sai dove siamo?»
«Su un treno. Il treno del vecchio. In quella che lui ha chiamato la Contrada Maledetta.»
«Be', questa sì che è bella», sbottò Jack sorridendo.
Sotto il suo grigio pallore, Richard arrossì.
«E come mai ci sei arrivato?» domandò Jack, ancora poco fiducioso nella trasformazione di Richard.
«Be', sapevo che non stavo sognando», spiegò Richard, mentre le guance gli diventavano ancor più rosse. «Probabilmente... probabilmente è perché ho deciso che è ora di smettere di combattere. Se siamo nei Territori, allora siamo nei Territori, anche se è assolutamente impossibile.» I suoi occhi incontrarono quelli di Jack, il quale fu stupito da una vena di ironia che gli lesse nell'espressione. «Ricordi quella clessidra gigantesca che c'era alla stazione?» Dopo che Jack ebbe annuito, Richard proseguì: «Be', è per quello. Quando l'ho vista ho capito che non mi stavo inventando tutto, perché sapevo che non avrei mai potuto inventarmi quell'aggeggio. Impossibile. Non... non è plausibile. Se avessi voluto inventare un orologio primitivo, l'avrei concepito con un mucchio di rotelle, pulegge, cose del genere. Non avrei mai pensato a un attrezzo così semplice. Perciò, se non l'ho inventato io, allora doveva essere vero, di conseguenza anche tutto il resto è vero.»
«E allora, adesso come ti senti? Hai dormito a lungo.»
«Sono ancora così stanco che faccio fatica a tenere la testa alzata. Non mi sento molto bene in generale.»
«Richard, ho una domanda da porti. C'è qualche motivo per cui tu abbia paura di andare in California?»
Richard abbassò la testa e la scrollò.
«Hai mai sentito parlare di un posto che si chiama albergo nero?»
Richard continuò ad agitare la testa. Non era sincero, ma Jack gli riconosceva che aveva già accettato tutto quanto era nelle sue possibilità. Più di così, perché Jack intuiva che c'era di più e non poco, non poteva confessare. Forse addirittura fino al momento in cui avessero raggiunto l'albergo nero. Il Gemellante di Rushton, il Gemellante di Giasone. Sì, insieme sarebbero arrivati alla casa e prigione del Talismano.
«Okay allora», concluse. «Ti senti in grado di camminare?»
«Credo di sì.»
«Bene, perché c'è una cosa che vorrei fare adesso, visto che non stai più morendo di tumore cerebrale, e ho bisogno del tuo aiuto.»
«Cioè?» chiese Richard. Si passò una mano tremante sulla faccia.
«Voglio aprire una o due di quelle casse che sono nell'ultimo vagone e vedere se possiamo procurarci delle armi.»
«Odio e detesto le armi», dichiarò Richard. «E dovresti pensarla così anche tu. Se nessuno avesse armi, tuo padre...»
«Sì, e se i maiali avessero le ali volerebbero», lo schernì Jack. «Sono sicurissimo che qualcuno ci segue.»
«Potrebbe essere mio padre», osservò Richard speranzoso.
Jack grugnì e abbassò la leva. Il treno rallentò vistosamente. Quando fu fermo, Jack mise in folle. «Credi di poter scendere?»
«Sicuro», rispose Richard, alzandosi troppo in fretta. Gli si piegarono le ginocchia e dovette sedersi pesantemente sul panchetto. La sua faccia diventò più grigia che mai e una pellicola di sudore gli brillò sulla fronte e sul labbro superiore. «Forse no», mormorò.
«Basta che fai con calma», lo ammonì Jack. Gli si avvicinò e gli posò una mano sulla fronte tiepida e umida e gli prese un gomito nell'altra. «Rilassati.» Richard chiuse brevemente gli occhi, poi li riaprì su Jack con un'espressione di fiducia senza riserve.
«Mi sono mosso troppo in fretta», si scusò. «Sono rimasto troppo a lungo nella medesima posizione e mi si sono addormentate le gambe.»
«Piano, piano, allora», lo incoraggiò Jack, aiutandolo a rialzarsi.
Richard sibilò: «Mi fa male».
«Passa subito. Ho bisogno del tuo aiuto, Richard.»
Richard fece un passo con cautela estrema e gemette di nuovo.
Portò in avanti l'altra gamba. Quindi si chinò e si diede delle pacche alle cosce e ai polpacci. L'espressione del suo volto cambiò e questa volta non fu più di dolore, bensì di uno stupore quasi gommoso.
Jack seguì la direzione del suo sguardo e vide uno di quegli uccellini con la faccia da scimmia e senza piume che svolazzava davanti al treno.
«Già, ci sono molte cose strane qua in giro», commentò. «E mi sentirò molto meglio se sotto quel telone troveremo delle armi.»
«Secondo te che cosa c'è dietro quelle colline?» domandò Richard. «Sarà come qui?»
«No, io credo che là dietro ci sia più gente», rispose Jack. «Posto che li si possa chiamare gente. Ho già pescato due volte uno che ci sorvegliava.»
Vedendo panico improvviso disegnarsi sul viso di Richard, Jack disse: «Non credo che sia qualcuno della tua scuola. Ma potrebbe essere altrettanto pericoloso. Non sto cercando di spaventarti, socio, ma ho visto qualcosa più di te della Contrada Maledetta».
«La Contrada Maledetta», ripeté Richard perplesso. Contemplò la vallata di polvere rossiccia con i radi ciuffi di erba color orina. «Oh... quell'albero...»
«Lo so. L'unica è far finta di niente.»
«Ma chi può aver creato una devastazione come questa!» esclamò Richard. «Questo non è naturale, è chiaro.»
«Forse un giorno lo scopriremo.»
Jack aiutò Richard a uscire dalla cabina e si trovarono insieme sullo stretto predellino che sormontava le ruote. «Non scendere in quella polvere», avvertì Jack. «Non si sa quant'è profonda. Non vorrei tirarti fuori da lì.»
Richard rabbrividì, ma forse era stato perché aveva appena notato con la coda dell'occhio un altro di quegli alberi seviziati e urlanti.
Uno dopo l'altro i due ragazzi scesero lungo il treno finché poterono saltare sull'accoppiatore del carro merci vuoto. Lì c'era una stretta scala metallica che saliva sul tetto. Sul lato posteriore del carro merci c'era una seconda scala da cui si poteva scendere sul vagone seguente.
Jack tirò la grossa corda pelosa cercando di ricordare come aveva fatto Anders ad allentarla così facilmente. «Io credo che sia qui», gli gridò Richard, mostrandogli il nodo che sembrava quello di un cappio da forca. «Jack?»
«Prova.»
Richard non era abbastanza forte da sciogliere il nodo da sé, ma quando Jack venne in suo soccorso per tirare un capo della corda il cappio scomparve all'improvviso e l'incerata si accasciò sulle casse. Jack ne rovesciò un lembo scoprendo alcuni dei contenitori più grandi e alcuni di quelli piccoli dei quali la prima volta non si era accorto. Su questi era scritto OBIETTIVI. «Ecco qui. Peccato che non abbiamo un piede di porco.» Alzò gli occhi verso i pendii della valle e un albero torturato aprì la bocca e mandò un grido muto. C'era forse una testa che sbirciava da lassù? Forse era uno di quei vermi enormi che intendeva scendere ad attaccarli.
«Coraggio, cerchiamo di scoperchiare una di queste casse», disse a Richard, che gli si avvicinò docilmente.
Dopo sei sforzi disumani Jack avvertì finalmente un movimento e il cigolare dei chiodi. Dalla sua parte Richard rinnovò i suoi tentativi. Era diventato più grigio di prima. «Basta, grazie», gli disse Jack. «Al prossimo strappo ce la faccio da solo.» Allora Richard quasi stramazzò su una delle casse più piccole. Dopo che ebbe preso fiato cominciò a frugare sotto il telone.
Jack si piazzò davanti alla cassa e serrò con forza i denti. Prese nelle mani uno spigolo del coperchio. Trasse un respiro profondo e cominciò a spingere finché gli tremarono i muscoli. Pochi attimi prima di essere costretto a mollare, i chiodi cominciarono a cigolare di nuovo e a sfilarsi dal legno. Jack mandò un grido a denti stretti e sradicò il coperchio.
Nella cassa, umide di lubrificante, c'erano una mezza dozzina di armi di un tipo che Jack non aveva mai visto. Parevano creature nell'atto di una metamorfosi, per metà macchina e per metà insetti sul punto di trasformarsi in farfalla. Ne tirò fuori una per esaminarla più attentamente e cercare di capire come funzionasse. Era un'arma automatica, perciò aveva bisogno di un caricatore. Si chinò allora servendosi della canna dell'arma per far leva sotto il coperchio di una delle casse con scritto OBIETTIVI. Come aveva previsto, in queste scatole più piccole erano imballati alcuni caricatori abbondantemente ingrassati e protetti da buste di plastica.
«È un Uzi», precisò dietro di lui Richard. «Un mitragliatore israeliano. Oserei dire che è un'arma molto alla moda. Il giocattolo preferito dai terroristi.»
«Come fai a saperlo?» chiese Jack, togliendo dalla cassa un altro fucile mitragliatore.
«Guardo la televisione. Se no come?» Jack armeggiò con il caricatore cercando di introdurlo prima alla rovescia, trovando in seguito la posizione corretta. Infine fece scattare la levetta della sicura togliendola e rimettendola.
«Ma che brutti gingilli», brontolò Richard.
«Ne spetta uno anche a te, perciò è inutile che protesti.» Jack prelevò un secondo caricatore per Richard e dopo un attimo di riflessione li tolse tutti dalla cassa, se ne ripose due in tasca, ne gettò due a Richard, che riuscì a prenderli entrambi al volo e si infilò i rimanenti nella bisaccia.
«Bah», sbottò Richard.
«È una sorta di polizza d'assicurazione», concluse Jack.
9
Appena furono tornati in cabina, Richard si lasciò andare a sedere sul panchetto: il percorso lungo la stretta cengia metallica sulle ruote e poi su e giù per le scalette aveva quasi esaurito le sue poche energie. Ma lasciò un po' di spazio a Jack e lo osservò da sotto le palpebre appesantite rimettere in moto il convoglio. Poi Jack si servì del poncho per cominciare a sfregare il suo mitragliatore.
«Che cosa stai facendo?»
«Tolgo il grasso. Quando avrò finito, sarà bene che tu faccia lo stesso con il tuo.»
Per il resto della giornata i ragazzi restarono seduti in cabina a sudare, cercando di non soffermarsi troppo sugli alberi gemebondi, sul puzzo che incombeva sul paesaggio circostante, sulla loro fame. Jack notò un giardinetto di vesciche che erano affiorate attorno alla bocca di Richard. Finalmente gli tolse dalle mani l'Uzi e lo ripulì lui stesso. Vi inserì un caricatore. Nelle screpolature delle labbra gli bruciava il sale del suo sudore.
Chiuse gli occhi. Forse non aveva visto delle teste fare capolino dalle alture che circondavano la valle. Forse nessuno li stava seguendo. Sentiva ronzare le batterie. Allo schiocco di una lunga scintilla avvertì il sobbalzo di Richard. Un attimo dopo dormiva e sognava di mangiare.
10
Quando Richard gli scrollò una spalla strappandolo da un mondo in cui stava divorando una pizza grande come una ruota di camion, nella valle stavano cominciando a scivolare le prime ombre, a lenire le torture degli alberi gementi. Nella luce ora bassa e morente, persìno questi alberi ripiegati su se stessi con le mani aperte sulla faccia sembravano più belli. La polvere rossa del suolo brulicava di luci. Le ombre si stampavano su di esse allungandosi quasi a vista d'occhio. Il giallo angosciato dell'erba si stava trasformando in un arancione che riusciva quasi a trasmettere un'idea di fecondità. Lunghe pennellate trasversali di una dolce sfumatura di rosso colorivano le rocce attorno alla valle. «Ho pensato che forse volevi vederlo», spiegò Richard. Altre piccole bolle gli erano comparse sulla bocca. Sorrise debolmente. «Mi sembra speciale. Non è quello solito. Lo spettro, dico.»
Jack temette che Richard si sarebbe lanciato in una conferenza scientifica sulle frequenze della luce al tramonto, ma il suo amico era troppo stanco o malato per mettersi a disquisire di fisica. In silenzio i due ragazzi osservarono come l'imbrunire intensificava tutti i colori trasformando il cielo a occidente in un viola trionfale.
«Sai che cos'altro stiamo trasportando?» chiese Richard.
«Che cosa?» Per la verità a Jack importava poco di saperlo, tanto non poteva essere niente di buono. Sperava di vivere abbastanza da poter godere di un altro tramonto fervido come questo, altrettanto grondante di sentimento.
«Esplosivo al plastico. Pacchetti da un chilo, mi pare. Ce n'è abbastanza da far saltare in aria un'intera città. Se da uno di quei mitragliatori parte un colpo per sbaglio o se qualcun altro pianta un proiettile in quei sacchetti, di questo treno resterà soltanto una buca per terra.»
«Io non lo farò, se non lo fai tu», ribatté Jack. Si abbandonò di nuovo all'incanto del tramonto che gli sembrava stranamente premonitore, come un sogno di vittoria che lo guidò a ricordare tutto quello che aveva passato da quando era partito dall'Alhambra, albergo con giardino. Vide sua madre che beveva il tè in una saletta e che all'improvviso gli appariva come una donna anziana e stanca; Svelto Parker seduto sotto un albero; Lupo che badava alle sue mandrie; Smokey e Lori all'orribile Oatley Tap; tutte le facce odiate della Casa del Sole: Heck Bast, Sonny Singer e tutti gli altri. La nostalgia di Lupo gli procurò una fitta di dolore precisa e affilata, perché il dilagare e il consolidarsi del tramonto glielo richiamava distintamente alla memoria, sebbene non riuscisse a spiegarsene la ragione. Aveva voglia di prendere Richard per mano, poi pensò: Perché no? e spostò lentamente la mano sul panchetto finché incontrò quella grassoccia e tozza dell'amico. Attorno a essa chiuse le dita.
«Mi sento così male», si lamentò Richard. «Non è più come... prima. Ho lo stomaco in uno stato pietoso e mi sento formicolare la faccia.»
«Credo che starai meglio quando saremo finalmente fuori da questo postaccio», lo confortò Jack. Ma che prove abbiamo che sarà così, dottore? si domandò. Che prova hai che non lo stai semplicemente avvelenando? Non aveva prove. Si consolò con la sua nuova fantasticheria (nuova scoperta?) secondo la quale Richard aveva un ruolo fondamentale in quello che sarebbe dovuto accadere all'albergo nero. Sì, avrebbe avuto bisogno di Richard Sloat e non solo perché Richard Sloat sapeva distinguere esplosivo al plastico da sacchetti di fertilizzante.
Possibile che Richard fosse già stato all'albergo nero? Possibile che fosse già stato a contatto con il Talismano? Scrutò l'amico con un'occhiata obliqua e lo vide respirare a fatica. La mano che teneva abbandonata in quella di lui era una fredda scultura di cera.
«Non voglio più tenere questo mitragliatore», dichiarò all'improvviso, spingendolo da parte. «Ha un odore che mi dà la nausea.»
«Va bene», disse Jack, trasferendoselo in grembo con la mano libera. Un albero tremò nella sua visuale periferica e mandò senza rumore il suo urlo di tormento. Presto i cani mutanti avrebbero dato inizio alle loro scorribande. Jack guardò la cima delle alture alla sua sinistra, dalla parte di Richard, e vide una sagoma umana scivolare fra le rocce.
11
«Ehi», esclamò quasi incredulo. Indifferente al suo stupore, il livore del tramonto continuava ad abbellire l'inabbellibile. «Ehi, Richard.»
«Che cosa c'è? Ti senti male anche tu?»
«Mi è parso di vedere qualcuno lassù. Dalla tua parte.» Tornò a esaminare i roccioni, ma non colse alcun movimento.
«Non me ne importa niente», disse Richard.
«E sbagli. Lo vedi che tattica? Vogliono assalirci quando sarà buio e non riusciremo più a vederli.»
Richard aprì per metà l'occhio sinistro per una breve e svogliata ispezione. «Io non vedo nessuno.»
«Nemmeno io, adesso, ma sono contento che siamo andati a prendere questi mitragliatori. Siediti diritto e stai attento, Richard, se vuoi uscire vivo da questa valle.»
«Che rompipalle che sei», brontolò Richard, però si raddrizzò e aprì entrambi gli occhi. «Io non vedo proprio niente lassù, Jack. Si sta facendo troppo buio. Probabilmente te lo sei immaginato.»
«Zitto», gli intimò Jack. Gli era sembrato di scorgere un'altra sagoma sgattaiolare fra i roccioni che cingevano la valle. «Sono in due. E forse ce ne sono degli altri.»
«E forse non ci sono né questi né quelli», lo contraddisse Richard. «E poi perché qualcuno dovrebbe volerci fare del male? Che cosa...»
Jack si girò a guardare il tratto di binario davanti al treno. Qualcosa si mosse dietro al tronco di uno di quegli alberi urlanti. Qualcosa più grosso di un cane.
«Oh-oh», sbottò Jack. «Ho idea che ce ne sia un altro là, ad aspettarci.» Per un attimo si ritrovò paralizzato dalla paura: non riusciva a pensare a che cosa fare per proteggersi dai tre aggressori. Gli si era bloccato lo stomaco. Imbracciò l'Uzi guardandolo stolidamente e chiedendosi se sarebbe stato davvero capace di usarlo e se anche i banditi della Contrada Maledetta erano dotati di armi da fuoco.
«Richard, abbi pazienza», disse, «ma questa volta credo che siamo davvero nella merda e ho bisogno di te.»
«Che cosa posso fare?» chiese Richard, con una voce gracile.
«Prendi il tuo mitragliatore», disse Jack, restituendoglielo. «E direi che ci conviene inginocchiarci per non offrire un bersaglio troppo facile.»
Così fece e Richard lo imitò al rallentatore, come muovendosi sott'acqua. Da dietro di loro giunse un grido prolungato, al quale rispose un altro verso dalle pendici del colle. «Sanno che li abbiamo visti», commentò Richard. «Ma dove sono?» Il suo interrogativo trovò un'immediata risposta. Ancora visibile nel crepuscolo violaceo, un uomo, o qualcosa di simile a un uomo, abbandonò il suo nascondiglio e scese di corsa per il pendio verso il treno. Dietro le spalle gli svolazzavano brandelli di stoffa. Gridava come un pellerossa e brandiva qualcosa in entrambe le mani. Sembrava una verga flessibile. E mentre Jack ancora rimuginava su che cosa potesse essere, udì il sibilo di qualcosa che fendeva l'aria a pochi centimetri dalla sua testa. Non aveva visto niente, ma aveva capito. «Per la miseria! Questi sono armati di arco e frecce!»
Richard mandò un gemito e Jack temette che si sarebbe messo a vomitare.
«Devo ucciderli», annunciò.
Richard deglutì ed emise un suono che non era esattamente una parola.
«Al diavolo», imprecò Jack, togliendo la sicura al suo Uzi. Alzò la testa e vide il lacero individuo che stava facendo scoccare un'altra freccia. Se la sua mira fosse stata accurata non avrebbe visto altro, ma la freccia colpì senza danno il fianco della cabina. Jack spianò l'Uzi e premette il grilletto.
Nulla di quanto avvenne era stato previsto. Aveva creduto che l'arma sarebbe rimasta immobile fra le sue mani e avrebbe espulso qualche pallottola docilmente. Invece l'Uzi gli sussultò violentemente fra le mani come un animale vivo producendo una scarica di rumori assordanti. L'odore della polvere da sparo gli risalì dolorosamente per il naso. L'uomo cencioso che correva dietro al treno alzò le braccia al cielo, ma per lo stupore, non perché fosse stato ferito. Finalmente a Jack venne in mente di togliere il dito dal grilletto. Non avrebbe saputo dire quanti colpi avesse sprecato e quanti ancora ne restavano nel caricatore.
«L'hai beccato, l'hai beccato?» domandava Richard.
Ora l'uomo risaliva di corsa il pendio della valle, scalpitando su piedi enormi e piatti. Solo in un secondo tempo Jack si accorse che quelli non erano i suoi piedi, ma delle pale, un rudimentale corrispondente delle racchette da neve. Stava cercando di mettersi al riparo dietro uno degli alberelli.
Jack sollevò l'Uzi imbracciandolo con maggior sicurezza e prese la mira lungo la canna corta. Poi premette il grilletto dolcemente. L'arma gli vibrò fra le mani, ma meno della prima volta. Scaricò un ventaglio di proiettili, almeno uno dei quali trovò il bersaglio voluto. L'uomo stramazzò di lato come se fosse stato travolto da un camion. Le racchette da neve gli schizzarono via dai piedi.
«Passami il tuo», disse Jack, ricevendo da Richard l'altro Uzi. Sempre in ginocchio sparò mezzo caricatore verso l'oscurità davanti al treno e sperò di aver liquidato la creatura che li attendeva poco più avanti.
Un'altra freccia rimbalzò rumorosamente sul convoglio e un'altra ancora si conficcò nel primo carro merci. Sul fondo della cabina Richard gridava e tremava. «Carica il mio», gli ordinò Jack, togliendosi un caricatore di tasca e mettendoglielo sotto il naso. Scrutò le pendici della valle a caccia del secondo aggressore. Fra meno di un minuto sarebbe stato troppo buio per riuscire a distinguere qualcosa dentro la cerchia della valle.
«Lo vedo», urlò Richard. «Lo vedo! Laggiù!» Indicava un'ombra che si muoveva senza rumore spostandosi celermente fra i roccioni. Quindi Richard gli tolse il mitragliatore dalle mani e gli consegnò quell'altro.
«Bravi ragazzi, bravi ragazzi», gridò una voce da destra. Era impossibile dire a che distanza fosse. «Adezzo voi fermare, io fermare, zi? Fine adezzo. Voi bravi ragazzi. Forse voi vendere me arma infallibile. Voi uccidere molto bene con quella, io vedere.»
«Jack», bisbigliò con affanno Richard.
«Getta via l'arco e le frecce», intimò Jack sempre accovacciato accanto a Richard.
«Jack, non puoi!» protestò Richard.
«Io getto via tutto adezzo», rispose la voce sempre davanti a loro. Un oggetto leggero sollevò uno sbuffo di polvere dal suolo. «Voi ragazzi fermare, vendere me arma, d'accordo?»
«Okay», gridò Jack. «Vieni avanti perché ti possiamo vedere.»
«D'accordo», disse di nuovo la voce.
Jack spostò all'indietro la leva lasciando che il treno rallentasse. «Quando grido», bisbigliò a Richard, «ricacciala in avanti più in fretta che puoi, ci sei?»
«Oh, Gesù», sospirò Richard. Jack controllò di aver tolto la sicura al mitragliatore che gli aveva appena passato Richard. Un rivolo di sudore gli scendeva dalla fronte direttamente nell'occhio destro.
«Adezzo tutto bene, zi?» disse la voce. «Bravi ragazzi, zi? Fermi, ragazzi.»
Il trenino avanzava lentamente verso l'invisibile interlocutore. «Metti la mano sulla leva», mormorò Jack. «Manca poco.»
La mano tremante di Richard, troppo piccola e infantile per poter compiere un gesto anche di minima importanza, toccò la leva del cambio.
Jack ebbe l'improvvisa e vivida immagine di Anders genuflesso davanti a lui sul pavimento di legno della sua baracca ad avvertirlo delle insidie di quel viaggio. Lui aveva reagito con strafottenza, senza valutare con la dovuta serietà i suoi ammonimenti. Come poteva far paura la Contrada Maledetta a un ragazzo che aveva trasportato fusti di birra per Smokey Updike?
Adesso la preoccupazione che Richard avesse a rigettare il suo ultimo pasto inondando la versione territoriale del loden di Myles P. Kiger era ben poca cosa a confronto della paura che si sentiva dentro di farsela nelle brache.
Una risata scomposta fece fremere le tenebre accanto alla cabina. Jack si drizzò, sollevando il mitragliatore e cacciando un grido nel momento in cui un corpo pesante urtava la cabina e vi si aggrappava. Richard spinse la leva in avanti e il convoglio ripartì.
Un braccio nudo e peloso si era agganciato al fianco della cabina. Evviva il selvaggio West, pensò Jack e in quel momento emerse davanti a lui il busto della creatura. Richard strillò e Jack andò assai vicino a evacuarsi le viscere nelle mutande.
La faccia era praticamente solo dentatura: una faccia istintivamente malefica come quella di un serpente a sonagli che mostra le zanne. Da uno dei lunghi denti incurvati cadde una goccia certamente velenosa. Non fosse stato per un naso minuscolo, la creatura che ora incombeva sui due ragazzi sarebbe sembrata un uomo con la testa di serpente. In una mano palmata impugnava un coltello. Jack sparò guidato dal panico, senza prendere la mira.
Allora la creatura ebbe come un ripensamento e vacillò all'indietro per un istante e solo dopo una frazione di secondo Jack si accorse che la mano palmata e il coltello erano scomparsi. La creatura agitò un moncherino sanguinolento schizzando una macchia di rosso sulla camicia di Jack. Un istintivo buon senso rese insensibile la mente di Jack nel momento cruciale e allora le sue dita riuscirono a muovere l'Uzi in modo da spianarlo contro il torace dell'orrenda creatura e premere il grilletto.
Uno squarcio enorme si aprì al centro del petto maculato e i denti gocciolanti si serrarono rumorosamente. Jack tenne il grilletto schiacciato e la canna dell'Uzi si alzò per conto proprio polverizzando la testa della creatura in un paio di secondi. Poi l'aggressore scomparve. Solo la vasta macchia di sangue sul fianco della cabina e quella più piccola sulla camicia di Jack dimostravano ai due ragazzi che non avevano sognato tutto.
«Attento!» gridò Richard.
«L'ho beccato», ansimò Jack.
«Dov'è finito?»
«È caduto. È morto.»
«Gli hai fatto saltar via la mano», sussurrò Richard. «Come hai fatto?»
Jack si guardò le mani e vide quanto gli tremavano. Erano avvolti dall'odore di polvere da sparo. «Ho imitato uno che ha una buona mira.» Riabbassò le braccia e si leccò le labbra.
Dodici ore dopo, quando il sole ricomparve sulla Contrada Maledetta, ancora i due ragazzi non avevano chiuso occhio. Avevano trascorso tutta la notte impalati come soldati con il mitragliatore in grembo e le orecchie tese al minimo rumore. Memore dell'ingente quantitativo di munizioni che stavano trasportando, di tanto in tanto Jack sparava a casaccio qualche colpo verso le pendici dei colli e per tutta quella seconda giornata di viaggio, se ancora c'erano persone o mostri in questa remota zona della Contrada Maledetta, lasciarono i due ragazzi in pace. Questo, secondo Jack, poteva significare che sapevano delle armi, oppure che adesso che erano ormai in prossimità della costa occidentale, nessuno dei residenti se la sentiva di avvicinarsi al treno di Morgan. Di tutto questo non parlò a Richard, che aveva gli occhi vitrei e lo sguardo perso nel vuoto e che gli sembrava quasi costantemente febbricitante.
12
Quel giorno, verso sera, Jack fiutò odore salmastro nell'aria acre.
36
Jack e Richard vanno alla guerra
1
Quella sera il tramonto fu più vasto ancora, perché nelle vicinanze dell'oceano lo scenario si era aperto. Non fu però così spettacolare come era stato nella valle. Jack fermò il treno in cima alla collina deturpata dall'erosione e passò sull'ultimo vagone. Lavorò quasi un'ora, finché i colori imbronciati del crepuscolo furono scomparsi dal cielo lasciando il posto a un quarto di luna a est. Tornò quindi con sei scatole di quelle con scritto OBIETTIVI.
«Aprile», ordinò a Richard, «e conta. Ti ho nominato mio armiere personale.»
«Stupendo», commentò Richard con un filo di voce. «Sapevo che studiare mi sarebbe servito a qualcosa.»
Jack tornò sull'ultimo vagone e schiodò il coperchio di una delle casse più grosse. Fu allora che udì un verso rauco giungere dalle tenebre seguito da uno strillo acuto di dolore.
«Jack? Jack? Sei là dietro?»
«Sì, sono quì!» gridò Jack. Riteneva alquanto inopportuno mettersi a urlare come una massaia che conversa con la sua vicina di casa da dietro la siepe, ma aveva sentito dalla voce che Richard stava per lasciarsi prendere da una crisi di panico.
«Torni presto?»
«Subito!» rispose Jack, calcando con più energia sull'Uzi con il quale faceva leva sotto il coperchio. Ormai la Contrada Maledetta era tutta alle loro spalle, tuttavia Jack non desiderava prolungare la sosta più del necessario. Molto più semplice sarebbe stato trasportare tutta quanta la cassa in cabina di guida, ma era troppo pesante.
«Jack?» La voce di Richard era affranta, stridula.
«Tieni duro, socio!»
«Non chiamarmi socio!»
I chiodi cigolarono affiorando dal legno. Finalmente Jack riuscì a schiodare il coperchio abbastanza da sollevarlo del tutto. Prese altri due mitragliatori abbondantemente lubrificati e fece per tornare alla cabina quando la sua attenzione fu richiamata da una scatola diversa, delle dimensioni di quelle in cui si imballano i televisori portatili. Fino a poco prima era rimasta coperta da un lembo dell'incerata.
Sotto la debole luce lunare Jack ripercorse slittando il tetto del primo vagone sentendo la brezza che gli accarezzava il viso. L'odore era terso, ben diverso da quello putrescente e molesto che lo aveva perseguitato per due giorni; nel venticello avvertiva umidità e l'odore inequivocabile del sale.
«Che cosa stavi facendo?» lo rimproverò Richard. «Jack, abbiamo già delle armi! E proiettili! Perché sei andato a prenderne delle altre? Mentre tu te ne stavi là dietro a giocare, qualcuno sarebbe potuto saltare qui dentro!»
«Ne ho presi degli altri perché i mitragliatori hanno la tendenza a surriscaldarsi», rispose Jack. «E altre pallottole, perché può darsi che ci tocchi di sostenere uno scontro a fuoco prolungato. Anch'io guardo la televisione, sai?» Fece per tornare all'ultimo vagone. Voleva vedere che cosa c'era nella scatola che aveva appena scoperto.
Richard lo afferrò. Il panico gli aveva trasformato la mano in un artiglio da volatile.
«Richard, andrà tutto bene...»
«Qualcuno potrebbe portarti via!»
«Credo che siamo praticamente usciti dalla Con...»
«Qualcuno potrebbe portare via me! Jack, non lasciarmi solo!» Richard scoppiò a piangere. Non girò la testa dall'altra parte, non si coprì la faccia con le mani. Se ne restò lì in piedi, i muscoli della faccia tutti contratti e lasciò che le lacrime gli sgorgassero dagli occhi. In quel momento Jack lo vide crudelmente denudato e allora l'abbracciò per confortarlo.
«Se qualcuno ti salta addosso e ti uccide, che cosa sarà di me?» singhiozzò Richard. «Come potrei mai andar via da questo posto?»
Non lo so, rispose mentalmente Jack. Proprio non lo so.
2
Fu così che Richard lo accompagnò per l'ultima incursione al vagone delle munizioni. Questo significò sospingerlo per la scaletta e poi sorreggerlo sul tetto del primo carro merci e calarlo con cautela giù dall'altra parte, un po' come aiutare una signora anziana e invalida ad attraversare la strada. Il molto razionale Richard stava riconquistando la sua lucidità mentale, ma fisicamente peggiorava progressivamente.
La scatola cubica portava la scritta FRUTTA, nonostante trasudasse da essa abbondante grasso lubrificante. Del resto, come poté constatare Jack quando l'ebbero aperta, la dicitura esterna non era del tutto erronea. La scatola era piena di ananas del tipo esplosivo.
«Giuseppina», mormorò Richard.
«Chiunque ella sia», fece eco Jack. «Aiutami. Credo che possiamo sistemarcene quattro o cinque nella camicia.»
«Ma che cosa ce ne facciamo di tutto quest'arsenale?» volle sapere Richard. «Ti aspetti di dover combattere contro un esercito intero?»
«Più o meno.»
3
Richard alzò lo sguardo al cielo mentre riattraversava con Jack il tetto del primo carro merci e fu allora che lo presero le vertigini. Vacillò e Jack dovette afferrarlo per impedirgli di cascare. Richard si era reso conto di non essere in grado di riconoscere alcuna delle costellazioni. Non una apparteneva all'emisfero settentrionale o meridionale. Erano stelle aliene, quelle che c'erano lassù... e tuttavia costituivano dei disegni e forse in questo mondo ignoto e incredibile c'erano naviganti che si facevano guidare da questo firmamento. Fu questo pensiero a far dischiudere la mente di Richard alla realtà che stava vivendo, una presa di coscienza che gli provocò un'inevitabile stretta al cuore.
Poi udì la voce di Jack che lo chiamava da lontano: «Ehi, Richie! Giasone! Per poco non sei piombato giù!».
Finalmente furono di nuovo nella cabina.
Jack spinse la leva in avanti e la gigantesca torcia elettrica di Morgan di Orris ripartì. Jack fece un inventario mentale di quanto avevano raccolto sul pavimento della cabina: quattro fucili mitragliatori Uzi, una ventina di confezioni di caricatori, e dieci granate con anelli di innesto che sembravano i cerchietti delle lattine di birra.
«Se tutto questo non ci basta, tanto vale lasciar perdere», commentò.
«Che cosa ti aspetti, Jack?»
Ma Jack scrollò la testa senza rispondere.
«Immagino che mi consideri una mezza sega, vero?» domandò Richard.
Jack sorrise. «Mai pensato il contrario, socio.»
«Non chiamarmi socio!»
«Socio socio socio!»
Questa volta gli strappò un sorrisino. Poca cosa, che tra l'altro mise in risalto le numerose vesciche che si erano gonfiate sulle labbra del povero Richard, ma comunque era meglio di niente.
«Ti dispiace se torno a dormire?» chiese Richard, spostando l'arsenale in un angolo della cabina e buttandoci sopra il poncho di Jack. «A forza di arrampicarmi e di calarmi di qui e di là... Devo essere davvero malato, perché mi sento sfinito.»
«Fai pure», lo tranquillizzò Jack. Stava riprendendo fiato anche lui. Tra non molto gli sarebbe tornato utile.
«Sento odore di oceano», osservò Richard, e nella sua voce Jack individuò uno stupefacente miscuglio di affetto, odio, nostalgia e paura. Poi gli occhi di Richard si chiusero.
Jack portò il treno al massimo della velocità. Mai aveva avvertito così forte la sensazione che la fine, in un modo o nell'altro, fosse ormai vicina.
4
Le ultime miserabili vestigia della Contrada Maledetta erano scomparse prima del tramontare della luna. Erano riapparsi i campi di grano. Qui era di qualità più scadente di quella che cresceva a Ellis-Breaks, ma trasmetteva lo stesso una sensazione di pulizia e salute. Jack udì i deboli richiami di uccelli simili ai versi dei gabbiani. Era un suono colmo di inesprimibile solitudine in questi vasti spazi aperti che odoravano lievemente di frutta e più insistentemente di salmastro.
Dopo la mezzanotte il treno passò ronzando fra macchie sempre più dense di alberi. Erano quasi tutti dei sempreverdi e la loro fragranza di pino mescolata con l'odore di sale che permeava l'aria cementava la connessione fra questo luogo e quello da cui era partito. Lui e sua madre non avevano mai trascorso molto tempo nella California settentrionale, forse perché vi si recava spesso in vacanza Sloat, tuttavia Jack ricordava di aver sentito Lily affermare che il paesaggio, nei pressi di Mendocino e Sausalito, era molto simile a quello della Nuova Inghilterra, tant'è vero che spesso le produzioni cinematografiche che avevano bisogno di uno scenario della Nuova Inghilterra potevano evitare di sobbarcarsi il lungo viaggio da una parte all'altra del paese girando le scene nel nord della California e questo senza che il pubblico ne cogliesse la differenza.
E così è giusto che sia. Sarà strano, ma sto tornando al luogo dal quale sono partito.
Richard: Ti aspetti di dover combattere contro un esercito intero?
Era contento che Richard si fosse addormentato, così non sarebbe stato costretto a rispondere alla sua domanda. Almeno non ancora.
Anders: Strumenti del diavolo. Per i Lupi cattivi. Da portare all'albergo nero.
Gli oggetti diabolici erano i fucili mitragliatori Uzi, granate, esplosivo al plastico. Gli strumenti del diavolo erano tutti qui, ma i Lupi cattivi non c'erano. Tuttavia la carrozza di mezzo era vuota e Jack trovava questo particolare fin troppo eloquente.
Ho una storiellina per te, Richie, caro il mio socio, e sono più che felice che tu ti sia addormentato, così non te la devo raccontare. Morgan sa che sto arrivando e mi sta organizzando un'accoglienza a sorpresa. Solo che dalla torta invece di belle ragazze nude salteranno fuori Lupi mannari che al posto delle bandierine dovrebbero impugnare fucili mitragliatori Uzi e granate. Ebbene, noi abbiamo sequestrato il suo treno e arriviamo con dieci o dodici ore di vantaggio sul programma prestabilito, ma se siamo diretti a un accampamento di Lupi che aspettano di impossessarsi del ciuf-ciuf dei Territori, cosa di cui sono più che convinto, dovremo approfittare noi il più possibile dell'elemento sorpresa.
Jack si passò una mano sulla guancia.
Sarebbe stato più facile fermare il treno lontano dalla sua destinazione e superare l'accampamento standone ben alla larga. Più facile e più sicuro.
Ma così facendo non avremmo eliminato il rischio dei Lupi cattivi, Richie, capisci?
Contemplò il suo arsenale chiedendosi se davvero poteva azzardarsi a progettare un'incursione contro la brigata lupesca di Morgan. Come commandos costituivano certo una bella coppia: il buon vecchio Jack Sawyer, re dei lavapiatti vagabondi, e il suo tirapiedi in stato comatoso Richard. Si chiese se non gli avesse dato di volta il cervello. Probabilmente sì, perché era proprio quanto aveva in animo di fare. Sarebbe stata certamente l'ultima cosa al mondo che si sarebbero aspettati da lui... e ne aveva piene le scatole. Oh, come le aveva piene! Lo avevano preso a frustate. Lupo era stato ammazzato. Avevano distrutto la scuola di Richard e sconvolto il suo cervello. E per quello che ne sapeva, Morgan Sloat era tornato nel New Hampshire a strapazzare sua madre.
Per quanto folle fosse la sua intenzione, era giunta l'ora di saldare i conti.
Si chinò, raccolse uno degli Uzi carichi e se lo appoggiò nell'incavo del braccio tornando a guardare le rotaie che si allungavano davanti al trenino e a odorare il profumo del sale sempre più forte.
5
Nelle ore piccole del mattino Jack si assopì appoggiato alla sbarra dell'acceleratore. All'alba fu svegliato da Richard.
«C'è qualcosa.»
Prima di guardare, Jack indugiò a esaminare Richard. Aveva sperato di trovarlo in miglior stato alla luce del giorno, ma nemmeno la cosmesi dell'alba poteva nascondere i sintomi della sua malattia. I colori del nuovo giorno avevano cambiato la dominante della sua carnagione dal grigio al giallo. Niente di più.
«Ehi! Treno! Salve, cazzuto di un treno!» Era un grido gutturale, poco più di un ruggito animalesco. Allora Jack guardò in avanti.
Si stavano avvicinando a una piccola costruzione che somigliava a un fortino.
Davanti a questo posto di guardia c'era un Lupo, ma il poco di somiglianza che aveva con quello di Jack si limitava allo scintillante arancione degli occhi. La testa di questo Lupo era orribilmente appiattita, come se qualcuno gli avesse falciato via l'incurvatura superiore del cranio. Il muso gli sporgeva sopra un mento tozzo come un masso in bilico su un dirupo. Nemmeno l'attuale espressione di gioia stupita dissimulava un'ottusa, brutale stupidità. Dalle guance gli pendevano lunghi peli sistemati a treccine. Sulla fronte aveva una cicatrice a forma di X.
Il Lupo indossava una specie di divisa da mercenario. Larghi calzoni verdi il cui orlo inferiore ricadeva attorno a quello superiore di stivali neri. Ma Jack notò che la punta degli stivali era stata ritagliata per lasciar sporgere le dita pelose e unghiute.
«Treno!» abbaiò alla motrice, ora a una cinquantina di metri da lui. Faceva schioccare le dita. Sputacchiava bava dalle fauci. «Treno! Treno! Treno cazzuto subito subito!» Spalancò la bocca in un vasto e allarmante sorriso, mostrando file di speroni frastagliati e ingialliti. «Siete un po' in anticipo, cazzuti. Va bene, va bene!»
«Jack, che cos'è?» domandò Richard. Stringeva disperatamente una spalla di Jack, ma era giusto rendergli atto che il tono della sua voce era abbastanza calmo.
«È un Lupo. Uno di quelli di Morgan.»
Ecco, Jack. Hai fatto il suo nome, imbecille!
Ma non c'era tempo di pensarci. Stavano arrivando all'altezza del fortino e il Lupo aveva evidentemente intenzione di saltare a bordo. Lo videro compiere una goffa capriola nella polvere e rialzarsi sbattendo ritmicamente i suoi stivali ritagliati. Aveva un coltello nella fondina della cintura di cuoio che gli attraversava il petto nudo come una bandoliera. Ma non aveva armi da fuoco.
Jack spostò la levetta del suo Uzi sul tiro a colpo singolo. «Morgan? Chi è Morgan? Quale Morgan?»
«Non ora», rispose Jack.
La sua concentrazione fu tutta convogliata su un unico bersaglio. il Lupo. A suo beneficio fabbricò un vistoso sorriso di plastica adoperandosi per tenere l'Uzi ben abbassato in modo che non si vedesse.
«Il treno di Anders! Ah, benissimo! Subito subito!»
Dal lato destro della motrice sporgeva una grossa maniglia che sembrava un gigantesco punto metallico. Subito sotto c'era un predellino. Sogghignando di gioia, colando schiuma dalle fauci, evidentemente pazzo, il Lupo si aggrappò alla maniglia e balzò agilmente sul predellino.
«Ehi, dov'è il vecchio? Lupo! Dov'è...»
Jack alzò la canna dell'Uzi e gli cacciò una pallottola nell'occhio sinistro.
La brillante luce arancione si spense come una fiammella di candela in un refolo di vento. Il Lupo cadde all'indietro dal predellino come un pagliaccio che si tuffa dal trampolino per far ridere. Stramazzò a terra con un tonfo. «Jack!» Richard lo prese per le spalle e lo costrinse a girarsi. Ora la sua faccia era quasi stralunata come quella del Lupo, solo che la sua era distorta dal terrore e non dalla gioia. «Stavi parlando di mio padre? Mio madre è immischiato in questa faccenda?»
«Richard, ti fidi di me?»
«Sì, ma...»
«Allora lascia perdere. Lascia perdere. Non è il momento.»
«Ma...»
«Prendi un mitragliatore.»
«Jack...»
«Richard, prendi un mitragliatore!»
Richard si chinò e raccolse un Uzi. «Odio le armi», ripeté.
«Sì, lo so. E a me non sono particolarmente simpatiche, te l'assicuro, Richie. Ma è l'ora della resa dei conti.»
6
Il binario portava ora verso un'alta palizzata. Da dietro giungevano versi di ogni genere, grida, ovazioni, ritmici battimani, scalpiccio di stivali che tempestavano il suolo. C'erano anche altri rumori meno distinguibili, ma nell'insieme il fracasso comunicò a Jack un concetto preciso: addestramento militare. Fra il posto di guardia e la palizzata c'era un tratto di un chilometro circa e con tutto quel chiasso era improbabile che qualcuno avesse udito il suo unico sparo. Il treno, poi, non faceva praticamente rumore perché era spinto dall'energia elettrica. Potevano contare ancora sul vantaggio della sorpresa.
Le rotaie scomparivano sotto un portone a due battenti sbarrato. Fra i tronchi malamente scorticati Jack vedeva trapelare strisce sottili di luce diurna.
«Jack, è meglio che rallenti.» Erano a centocinquanta metri dal portone. Da dietro numerose voci intonavano sguaiatamente: «Unop-duè! Unop-duè!» Jack rabbrividì.
«Mai, socio. Ci passiamo attraverso. Ti resta giusto il tempo per una preghiera.»
«Jack, tu sei matto.»
«Lo so.»
Cento metri. Le batterie ronzavano. Partì una scintilla azzurra che crepitò nell'aria. Terreno brullo su entrambi i lati. Qui niente grano, considerò Jack.
«Jack e se questo miserabile trenino deraglia?»
«Immagino che possa succedere.»
«E se sfondiamo il portone e dall'altra parte non ci sono più rotaie?»
«Sarebbe uno a zero per loro, no?»
Cinquanta metri.
«Jack, hai proprio perso la testa, vero?»
«Ho paura di sì. Togli la sicura, Richard.»
Richard abbassò la levetta.
Tonfi... grugniti... passi a ritmo di marcia... scricchiolare di cuoio... grida... e risate disumane, stridule, che facevano venire la pelle d'oca a Richard. E tuttavia gli leggeva sulla faccia una tersa risolutezza che lo indusse a sorridere di orgoglio. È deciso a darmi man forte. Ragionevole o pazzesco, il mio Richard è deciso a stare al mio fianco.
Venticinque metri.
Strilli... schiamazzi... ordini urlati... e uno stentoreo verso di rettile che fece drizzare i capelli a Jack.
«Se ne veniamo fuori», disse, «ti offro un hot dog al chili al Dairy Queen.»
«Neanche morto!» urlò Richard e poi, incredibilmente, scoppiò a ridere. In quell'istante la sua faccia sembrò leggermente meno gialla.
Cinque metri... e i tronchi scorticati con i quali era stato costruito il portone avevano un aspetto solido. Oh sì, molto solido, e Jack ebbe appena il tempo di chiedersi se non avesse commesso un gravissimo errore.
«Giù la testa, socio!»
«Non chiamarmi...»
Il treno cozzò contro il portone ed entrambi furono sospinti all'indietro.
Il portone era davvero molto resistente, per di più, dall'alta parte, era sbarrato da due enormi tronchi trasversali. Il treno di Morgan non era molto grosso e le batterie erano quasi del tutto scariche dopo la lunga traversata della Contrada Maledetta. La collisione lo avrebbe fatto certamente deragliare e i due ragazzi sarebbero rimasti sicuramente schiacciati, se il portone non avesse avuto il suo tallone d'Achille. In effetti erano stati ordinati cardini nuovi fabbricati con l'impiego della moderna tecnica americana, ma non erano ancora arrivati e i vecchi cardini di ferro saltarono via quando la motrice travolse il portone.
Il convoglio entrò a quaranta chilometri l'ora, spingendo davanti a sé il portone amputato. Lungo il perimetro della palizzata era stato preparato un percorso a ostacoli e il portone, simile a uno spazzaneve, agganciava gli ostacoli di legno rovesciandoli, facendoli rotolare, spezzandoli.
Colpì anche un Lupo che stava compiendo il percorso per punizione. I suoi piedi scomparvero sotto il portone in movimento e furono maciullati insieme con gli strambi stivali. L'incidente innescò subito la sua muta e il Lupo, urlando e ringhiando, cominciò a dare la scalata ai tronchi sovrapposti arrampicandosi con le unghie che gli crescevano a vista d'occhio acuminandosi come gli arpioni di cui si servono gli operai per salire sui pali del telefono. Il portone era avanzato ora di una quindicina di metri all'interno della palizzata. Il Lupo riuscì ad arrivare quasi in cima prima che Jack abbassasse la leva per metterla in folle. Il treno si fermò. Il portone ricadde in avanti sollevando un nuvolone di polvere e schiacciando il Lupo sventurato. Sotto l'ultimo carro del convoglio, i piedi che gli erano stati tranciati di netto vivevano ancora e dalla pelle crescevano peli: sarebbe stato così ancora per parecchi minuti.
La situazione al campo era migliore di quanto Jack avesse osato sperare. Evidentemente la sveglia veniva data di buon'ora, come di solito avviene in tutte le installazioni militari. La gran parte delle truppe erano già in piedi, occupate in un bizzarro menù di esercitazioni e ginnastica.
«A destra!» gridò a Richard.
«Che cosa faccio?» gli urlò di rimando Richard.
Jack aprì la bocca e gridò. Per lo zio Tommy Woodbine, investito in una strada; per un ignoto carrettiere frustato a morte in un cortile pieno di fango; per Ferd Janklow; per Lupo, morto nell'ufficio maledetto del reverendo Gardener; per sua madre; ma soprattutto, si scoprì a pensare, per la Regina Laura DeLoessian, la quale era a sua volta sua madre, e per il crimine che veniva perpetrato in tutti i Territori. Urlò con la voce di Giasone che era una voce di tuono.
«FALLI A PEZZI!» tuonò Jack Sawyer/Giasone DeLoessian e aprì il fuoco a sinistra.
8
Dalla parte di Jack si apriva una rudimentale piazza d'armi. Dalla parte di Richard c'era invece un fabbricato di tronchi. Somigliava a un dormitorio, ma Richard pensò che dovesse essere una caserma. In effetti questo posto non gli appariva del tutto nuovo; anzi, gli era assai meno estraneo di tutto quello che aveva visto finora in questo mondo incredibile in cui lo aveva trascinato Jack. Luoghi del genere li aveva già visti al telegiornale. In accampamenti di questo tipo si esercitavano ribelli aiutati dalla CIA per avviare insurrezioni nelle nazioni dell'America centrale e meridionale. Solo che di solito questi campi d'addestramento si trovavano in Florida. E da quel fabbricato non stavano correndo fuori dei cubanos. Anche se Richard non riusciva a capire che cosa fossero queste persone.
Alcuni di loro sembravano raffigurazioni medievali di diavoli e satiri. Altri sembravano esseri umani degenerati, forse uomini delle caverne. E una di quelle creature che si precipitava fuori aveva la pelle squamosa e membrane da rettile al posto delle palpebre. A Richard Sloat fece ricordare un alligatore che per qualche scherzo della natura fosse in grado di camminare eretto. Sotto i suoi occhi questa creatura sollevò il muso e mandò il grido che avevano già udito poco prima. Ebbe appena il tempo di constatare che quasi tutte queste creature infernali erano totalmente allo sbando prima che l'Uzi di Jack facesse esplodere il colpo.
Dalla parte di Jack una ventina di Lupi marciavano inquadrati. Come quello che montava di guardia al fortino, erano quasi tutti in calzoni verdi con gli stivali ritagliati e la bandoliera sul petto. Come la guardia, avevano un'espressione stupida, la testa piatta e occhi sadici.
Avevano interrotto l'esercitazione all'arrivo del treno ed erano rimasti a guardare il convoglio che sfondava il portone e la brutta fine toccata al loro camerata che si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Al grido di Jack avevano ripreso a muoversi, ma ormai era troppo tardi. La gran parte della brigata raccolta con tanto amore da Morgan selezionando nell'arco di cinque anni gli elementi a lui più utili per forza e brutalità e per la paura e la lealtà che provavano per lui, fu spazzata via in una violenta scarica di mitraglia. Vacillarono, ruotarono su se stessi, con squarci nel petto, fori nella testa. Ci furono ringhi di collera forsennata e ululati di dolore, ma non molti. I più morirono sul colpo.
Jack tolse il caricatore svuotato, ne afferrò un altro e lo inserì con un colpo violento. Sul lato sinistro della piazza d'armi quattro Lupi erano scampati alla prima scarica; al centro altri due si erano accovacciati in tempo schivando i proiettili. Erano entrambi feriti, ma adesso cercavano di attaccare, mentre le unghie delle loro estremità improvvisamente si allungavano e si affondavano nel terreno, peli fitti nascevano sui loro zigomi, lampi maligni si accendevano nei loro occhi. Mentre sopraggiungevano di corsa, Jack vide le loro zanne sporgere dalla bocca attraverso una barba ispida nata d'incanto.
Schiacciò il grilletto dell'Uzi. Adesso faticava a tenere abbassata la canna surriscaldata, perché il violento rinculo gliela spostava continuamente verso l'alto. I due Lupi furono ricacciati all'indietro, travolti da un urto che fece loro compiere un salto mortale da acrobati. Gli altri quattro non persero tempo: si diressero a capofitto verso il varco nella palizzata, dove fino a due minuti prima c'era stato il portone.
Le disparate creature che si erano buttate fuori dalla bassa costruzione simile a una caserma giunsero in quel momento alla conclusione che i nuovi arrivati, sebbene viaggiassero a bordo del treno di Morgan, non giungevano proprio in amicizia. Non concertarono un attacco in massa vero e proprio, tuttavia cominciarono ad avanzare brontolando di furore; Richard appoggiò la canna dell'Uzi sul fianco della cabina che gli arrivava all'altezza del petto e aprì il fuoco. Le pallottole andarono a segno respingendo gli aggressori. Due creature simili a capre caddero carponi e sgattaiolarono all'interno del fabbricato. Altri tre piroettarono su se stessi e stramazzarono. Richard si sentì invadere da una gioia selvaggia che gli diede un senso di capogiro. Alcuni proiettili si conficcarono anche nella pelle chiara del ventre di quella specie di alligatore e dai fori cominciò a colare fuori un fluido nerastro, non sangue. L'essere bestiale cadde all'indietro, ma fu sorretto dall'enorme coda. Fu catapultato in avanti e si avventò sulla motrice. Mandò di nuovo quel suo verso potente e questa volta Richard registrò in esso qualcosa di femminile.
Premette il grilletto dell'Uzi. Non successe niente. Il caricatore era vuoto.
L'alligatore veniva avanti a passi lenti e maldestri, ma animato da determinazione omicida. I suoi occhi scintillavano di micidiale furore... e intelligenza. Mammelle solo abbozzate gli sobbalzavano sul petto squamoso.
Richard si chinò, cercò a tentoni senza distogliere gli occhi dall'alligatore mannaro e trovò una granata.
Seabrook Island, pensò Richard come in sogno. Jack chiama questo posto i Territori, ma in realtà siamo a Seabrook Island e non è il caso di aver paura, assolutamente; questo è solo un sogno e se quel mostro squamoso mi chiude gli artigli intorno al collo, sicuramente mi sveglierò e, se anche non fosse tutto un sogno, Jack troverà il modo di salvarmi, lo so di sicuro, perché qui Jack è una specie di divinità.
Strappò la linguetta della granata, dominò l'impulso di sbarazzarsene immediatamente in un gesto isterico e portò lentamente la mano all'indietro.
«Jack, tirati giù!»
Jack si rannicchiò immediatamente senza nemmeno guardare. Lo fece anche Richard, ma non prima di aver visto una scena incredibile, a suo modo comica. L'alligatore aveva preso la granata... e stava cercando di mangiarla. L'esplosione non avvenne con quel colpo sordo che Richard si era aspettato. Si udi invece un boato terribile che gli trapanò i timpani. Poi udì uno sciacquio come se qualcuno avesse gettato contro il treno una secchiata d'acqua.
Guardò fuori e vide che tutto il convoglio, motrice, carro chiuso e carro senza sponde, era stato inondato da un miscuglio di viscere ancora calde, sangue nero e brandelli di carne dell'alligatore. L'esplosione aveva anche aperto un enorme squarcio nella caserma. Gran parte dei detriti erano rossi di sangue. Tra i frammenti di legno vide una zampa pelosa che sporgeva da uno stivale ritagliato.
Poi un cumulo di tronchi fracassati si mosse e da sotto cominciarono a emergere due creature caprine. Richard frugò sul fondo della cabina, trovò un caricatore pieno e lo inserì nel fucile mitragliatore. Si stava surriscaldando, proprio come aveva previsto Jack.
Ole! pensò distrattamente Richard, aprendo nuovamente il fuoco.
9
Rialzando nuovamente la testa dopo l'esplosione della bomba, Jack vide i quattro Lupi scampati alle sue due prime scariche che fuggivano dal varco lasciato dal portone abbattuto. Ululavano di terrore. Correvano fianco a fianco e offrivano un facile bersaglio a Jack che alzò l'Uzi per riabbassarlo subito dopo. Sapeva che li avrebbe rivisti, probabilmente all'albergo nero, e sapeva anche di essere un imbecille... ma, imbecille o no, non era capace di sparargli alla schiena.
Uno strillo stridulo e femmineo si alzò dai resti della palazzina. «Fuori di qui! Fuori, ho detto! Muoversi! Muoversi!» Si udì il sibilo e lo schiocco di una frusta. Jack riconobbe quel suono e riconobbe anche quella voce. L'ultima volta che l'aveva udita era imprigionato in una camicia di forza. L'avrebbe riconosciuta dovunque.
Se quel suo amico ritardato viene qui, sparagli.
Va bene, quella volta te la sei cavata, ma forse adesso è il tuo turno e forse, a giudicare da come strilli, lo sai anche tu.
«Prendeteli, che cosa vi ha preso, vigliacchi? Prendeteli! Devo proprio farvi vedere io come bisogna fare? Seguiteci! Seguiteci!»
Dal resto della caserma sbucarono tre creature delle quali solo una era decisamente umanoide: Osmond. In una mano stringeva la sua frusta e nell'altra uno Sten. Indossava una mantella rossa e stivali neri con un paio di pantaloni di seta bianchi molto larghi. Erano macchiati di sangue fresco. Alla sua sinistra c'era una creatura caprina dal pelo lungo che indossava un paio di jeans e stivali da cowboy. Costui e Jack si scambiarono un'occhiata riconoscendosi all'istante. Quello era il temuto cowboy dell'Oatley Tap. Era Elroy. Sogghignò. Dalla bocca gli scivolò fuori la lunga lingua che lambì il labbro superiore.
«Prendilo!» gridò Osmond rivolto a Elroy.
Jack cercò di sollevare l'Uzi, ma improvvisamente lo sentì pesantissimo fra le braccia. La ricomparsa di Osmond era una brutta faccenda, la riapparizione di Elroy anche peggio, ma la creatura che c'era con loro era un vero incubo. Era la versione territoriale di Reuel Gardener, naturalmente il figlio di Osmond, il figlio del reverendo, e in effetti si vedeva che era ancora molto giovane: un ragazzo come lo disegnerebbe un brillante bambino d'asilo dalla mentalità distorta.
Era bianco come caglio e gracile; un braccio gli terminava in un tentacolo vermiforme che somigliava alla frusta di Osmond. I suoi occhi, uno dei quali alla deriva, erano a livelli diversi. Aveva le guance piene di foruncoli rossi.
In parte è l'effetto delle radiazioni. Giasone, il figlio di Osmond, si deve essere avvicinato troppo a una di quelle sfere di fuoco... ma il resto... Giasone... Gesù... che cos'era sua madre? In nome del cielo, che cos'era sua madre?
«Prendete l'impostore!» stava gridando Osmond. «Risparmiate il figlio di Morgan, ma prendete l'impostore! Prendete il falso Giasone! Correte, vigliacchi! Non hanno più pallottole!»
Urla, ruggiti. Jack si aspettava di veder comparire da un momento all'altro un nuovo contingente di Lupi e mostri assortiti dai recessi della palazzina, nella quale probabilmente si erano rifugiati per proteggersi dall'esplosione, con la testa fra le gambe.
«Non avreste mai dovuto venire fin qui, pollastri», grugnì Elroy, correndo verso il treno. La sua coda fendeva l'aria. Reuel Gardener, o il suo agghiacciante corrispondente in questo mondo, mandò un roco miagolio e cercò di seguirlo. Osmond lo trattenne: Jack vide le sue dita sprofondare nel collo repellente del mostro.
Allora alzò l'Uzi e svuotò un intero caricatore sulla faccia di Elroy. I proiettili gli staccarono la testa di netto e tuttavia Elroy, decapitato, avanzò ancora per un momento e una delle sue mani, le cui dita si erano fuse insieme in una parodia di zoccolo, si agitò inutilmente nell'aria cercando di colpirlo alla testa prima di ricadere.
Jack lo osservò stupefatto. Chissà quante volte aveva sognato quell'ultimo spaventevole confronto all'Oatley Tap, quando aveva cercato di sfuggire al mostro in una buia giungla piena di molle di materasso e frammenti di vetro. Ora ce l'aveva di nuovo davanti e l'aveva ucciso. Era difficile assimilare quel fatto. Era come se avesse ammazzato un babau dell'infanzia.
Richard stava gridando. Il suo fucile mitragliatore vomitò proiettili assordando Jack.
«È Reuel! Oh Jack oh mio Dio oh Giasone è Reuel, è Reuel...»
L'Uzi imbracciato da Richard tossì un'altra breve scarica prima di zittirsi, avendo consumato tutti i colpi. Reuel si liberò dalla mano di suo padre. Sempre miagolando, si lanciò verso il treno. Rovesciò il labbro superiore mostrando denti lunghi che sembravano falsi e friabili, come quelli di cera che si mettono i bambini a Halloween.
L'ultima scarica di Richard lo raggiunse al petto e al collo aprendo fori nel pullover che indossava, scavando lunghi solchi nelle sue carni. Da queste ferite affiorarono rivoli collosi di sangue scuro. Ma i proiettili non ebbero altro effetto. Forse un tempo Reuel era stato anche umano, era possibile, ma non lo era certamente più. Le pallottole non lo avevano nemmeno rallentato. La creatura che scavalcò con un balzo maldestro il corpo inerte di Elroy era un demone. Puzzava come un rospo.
Jack avvertì un senso di calore contro la gamba. Diventò via via più cocente. Che cos'era? Gli sembrava di avere una pentola di acqua bollente in tasca. Ma non ebbe il tempo di pensare. La situazione precipitava davanti ai suoi occhi.
Richard lasciò cadere l'Uzi e indietreggiò barcollando, portandosi le mani alla faccia. Con orrore fissava Reuel fra le dita.
«Non lasciare che mi prenda, Jack! Non lasciare che mi prendaaaa!»
Reuel gorgogliava e miagolava. Urtò con le mani la motrice producendo il rumore di pinne sbattute nel fango.
Jack notò che aveva davvero delle membrane giallastre fra dito e dito.
«Torna indietro!» stava gridando Osmond a suo figlio, in un tono di voce che tradiva tutta la sua paura. «Torna indietro, è cattivo, ti farà del male, tutti i ragazzi sono cattivi, è assiomatico, torna indietro, torna indietro!»
Reuel gorgogliava e grugniva, tronfio. Si issò sulla motrice e Richard si rifugiò in un angolo della cabina urlando come un pazzo.
«NON LASCIARE CHE MI PRENDAAAAA...»